Il primo congresso internazionale

London School of Economics, Londra 2001

La partecipazione a un convegno internazionale è sempre un’esperienza significativa, ma per me i primi due convegni hanno rappresentato un momento importante, umanamente e professionalmente.

Il primo convegno internazionale a cui ho partecipato, come semplice uditrice, è stato quello  indetto dal CESNUR a Torino nel 1998. Era la prima volta che mi trovavo in un ambiente accademico internazionale con studiosi che presentavano le loro relazioni anche in lingua inglese e dove ho conosciuto per la prima volta studiosi provenienti da altre nazioni con i quali ho potuto scambiare idee ed esperienze.

L’esperienza più significativa è stata però quella del 2001, quando ho partecipato come relatrice al Convegno organizzato dal CESNUR alla London School of Economics: The Spiritual Supermarket. Religious Pluralism and Globalisation in the 21st Century: the Expanding European Union and Beyond. Il convegno si è tenuto dal 19 al 23 aprile.

Ricordo con piacere di aver festeggiato, per la prima e ultima volta, il mio compleanno (20 aprile) a tavola con numerosi studiosi di sociologia della religione, e giuristi esperti nel settore, che erano allora i più conosciuti a livello internazionale.

L’emozione che provai il giorno 22 aprile, quando presentai la mia relazione in lingua inglese, è stata unica e intensa, un’esperienza significativa che non ha avuto eguali negli anni successivi, quando ho cominciato a partecipare a questi convegni regolarmente. Il titolo della relazione era: Fringe Catholic Movements in Italy: From Basilio Roncaccia to Luigia Paparelli’s Divine Mission.

Quella relazione rappresentava il culmine di una lunga e difficile ricerca sul movimento La Missione di Luigia Paparelli per completare la quale mi ero recata in diverse località dell’Umbria e della Toscana, nelle quali avevo intervistato i testimoni e diverse persone che avevano fatto parte della Missione ed erano ancora membri, ma anche sacerdoti e giornalisti che avevano fatto ricerche sul movimento. Per completare la ricerca, poi pubblicata sull’Enciclopedia delle Religioni del CESNUR, avevo anche fatto una laboriosa ricerca alla Biblioteca Nazionale di Roma per cercare i documenti che erano conservati nei microfilm dell’epoca.

L’abstract e il testo della mia relazione in lingua inglese sono ancora disponibili sul sito del CESNUR. La traduzione in italiano è disponibile su questo sito.

Una visita ad Anima Universale

Leinì, Torino (12 settembre 2010)

In occasione del Convegno Internazionale del CESNUR svoltosi a Torino, a cui ho partecipato dal 9 all’11 Settembre 2010, ho colto l’occasione per visitare un movimento spirituale presente nel Nord Italia, censito anche nelle Religioni in Italia: Anima Universale.

Questa osservazione rientra nella metodologia scientifica di studio e ricerca sui Nuovi Movimenti Religiosi. Si tratta di una forma di osservazione partecipante nella quale il movimento oggetto di studio è a conoscenza delle finalità scientifiche che lo studioso persegue.

Il tempio di Anima Universale

La mia osservazione era diretta soprattutto ad una delle attività di Anima Universale: il Darshan, un rito che si svolge ogni domenica alle ore 10 a Leinì (Torino) all'interno di un tendone che accoglie diverse centinaia di persone.

Camminando nel giardino circostante, prima dell’inizio del rito, si incontrano famiglie con bambini, giovani, adulti e anziani senza una evidente predominanza di una categoria rispetto all’altra. Molte persone parlano il francese, alcune appaiono essere di ceto medio-basso, altre vestono in modo ricercato: i frequentatori del rito di Swami Roberto hanno, dunque, estrazioni sociali molto diverse tra loro.

In breve tempo il parcheggio antistante la sede di Anima Universale si riempie di macchine. In attesa dell’inizio del rito alcune persone si fermano in una piccola cappella dove si trovano due statue (una di Gesù e l'altra di Buddha, l'una di fronte all’altra), reliquie attribuite a Padre Pio, un piccolo spazio laterale che è il luogo nel quale Roberto, giovanissimo, si raccoglieva e accoglieva le persone, e altri simboli religiosi di varia estrazione. C’è anche il calco della sua mano impresso nella pietra.

Le persone entrano nella piccola cappella e sostano di fronte alle immagini e alle statue in raccoglimento. Altre persone si recano nella stanza in cui ci sono oggetti, libri, DVD. Quando entro nella stanza ci sono 5 o 6 persone che prendono alcuni oggetti di artigianato esposti sui tavoli e poi mettono un’offerta in una cassetta.

Altre persone ancora si recano a pregare in un’altra stanza dove c’è un crocifisso realizzato dall’iconografa Angela Davari. In prossimità di questa cappella mi fermo a leggere un avviso nel quale una frase è particolarmente evidenziata: "La Divina Provvidenza non aiuta chi non va dal medico e non prende le medicine".

Mentre il numero di persone aumenta e i posti nel tendone vengono occupati cerco uno spazio anche per me e scelgo di sedermi vicino a due donne che sembrano essere madre e figlia, la prima di circa 70 anni e la seconda di almeno 40. Noto che quest’ultima ha in mano una fotografia in cui si vede una famiglia.

Colgo l'occasione per chiedere alla donna perché ha in mano la fotografia e lei mi risponde che in quella foto c’è suo fratello e Roberto può aiutarlo. La fotografia si trova tra le sue mani perché Roberto, che sta per entrare, possa aiutare il fratello. La donna seduta accanto interviene per chiedermi se è la prima volta che mi trovo in quel posto e, dopo aver verificato che non so nulla di quanto sta per accadere, si offre di dirmi qualcosa in proposito.

Mi dice che Roberto l’ha aiutata moltissimo e che lo conosce da quando era bambino, che grazie a lui è riuscita a superare momenti terribili e altri particolari personali che non è il caso di specificare per rispetto della persona.

Intanto i Ramia si sono tutti disposti ad un lato del tendone. Tra questi ci sono anche due donne, di cui una sull'altare. Sull'altare (o podio) ci sono diversi simboli tra i quali anche la statua di Maria con Gesù, immagini e statue di angeli, di Gesù, un enorme cerchio con la scritta “If you want peace defend life".

Ad un certo punto, introdotto da una musica melodiosa, entra Roberto, insieme a due Ramia, e comincia a camminare in mezzo alle persone sorridendo e fermandosi di tanto in tanto a parlare o posare la sua mano sul capo di qualcuno.

Poi sale sull’altare e si siede su una grande sedia. La funzione prosegue con un breve e semplice discorso di Roberto tradotto da un Ramia in francese. Il discorso, molto semplice e diretto, intervallato da battute molto apprezzate che suscitano l’ilarità dei presenti e dello stesso Roberto, in sostanza vuole trasmettere questa idea: non è sufficiente invocare Dio per essere veri credenti, ma è indispensabile mettere in pratica la Sua parola.

Dopo il discorso Roberto si sofferma su alcune parole o frasi "chiave" e incita tutti a ripeterle accompagnadole con movimenti del corpo. I presenti cantano e pronunciano anche parole rituali di alcune forme di meditazione orientale.

Di tanto in tanto, attraverso il movimento delle braccia, accolgono e diffondono l'energia di Roberto che scende sui loro corpi.

Terminata questa parte del rito Roberto si siede e i Ramia si spostano in diverse zone del capannone sorreggendo tra le mani un oggetto. Una volta che i Ramia hanno preso posto in divesi angoli del capannone, le persone si alzano e cominciano a disporsi in file per ricevere qualcosa da loro.

Riesco a vedere di cosa si tratta solo quando ritorna al suo posto la donna seduta vicino a me: ha in mano un pezzo di pane e una fetta di mela. E’ lei stessa che mi spiega di cosa si tratta: il pane rappresenta il frutto del lavoro dell’uomo e la mela rappresenta il frutto che viene direttamente da Dio. Le persone mangiano e poi rimangono in raccoglimento.

Dopo questo rito Roberto chiama sul palco un Ramia, Osvaldo, per festeggiarlo nel giorno del suo diciottesimo anniversario di sacerdozio (secondo l'accezione che Anima Universale dà a questa parola) e le persone presenti partecipano con applausi ai festeggiamenti.

Alla fine della funzione Roberto si ritira accompagnato da musica e canti. Il rito si è protratto per poco più di un’ora.

Dopo la funzione si formano gruppetti di persone che vanno verso l’edificio principale insieme a qualche Ramia, altri si fermano a parlare o ritornano nella piccola cappella, altri fanno ritorno alle loro vetture.

Il Darshan è, in sostanza, un rito sincretista molto semplice e immediato nel quale la figura di Roberto funge da catalizzatore di emozioni e riflessioni individuali e collettive che rescono a creare un clima emotivo di grande serenità e accoglienza.

La spontaneità si accompagna alla docile sequela di quanto Roberto dice di fare e di ripetere insieme a lui. I contenuti dell’insegnamento di Roberto sono molto semplici e immediati, il suo parlare intervallato da battute e frasi scherzose, l’esortazione generale è quella di essere coerenti con ciò a cui si crede, anche se l’appartenenza religiosa è diversificata.

L’unica indicazione diretta e chiara, ripetuta prima e dopo la funzione, è quella di osservare il silenzio e il raccoglimento.

Diario di un giorno al Tempio indù di Londra

(Londra, 1 agosto 2011)


Il BAPS Shri Swaminarayan Mandir di Londra, comunemente conosciuto come il "Neasden Temple", è il primo tradizionale  tempio indù costruito in Europa ed è anche il più grande, se si escludono quelli costruiti in India. Fa parte della organizzazione Bochasanwasi Shri Akshar Purushottam Swaminarayan Sanstha (BAPS),  fondata sull'insegnamento dei Veda.  Secondo questa tradizione la prima rivelazione è stata ricevuta da Bhagwan Swaminarayan (1781-1830) e poi realizzata nel 1907  grazie a Shastriji Maharaj (1865-1951) e ai suo diretti successori. 

I fedeli di questa tradizione della religione indù pregano, fanno opere di bene, prestano servizio volontario, rifiutano l'alcool, l'adulterio, la carne, le dipendenze e l'impurità del corpo e della mente. Il tempio di Londra è stato aperto nel 1995 ed è un gioiello di rara bellezza, che le fotografie non riescono assolutamente a rendere.

Si trova nella zona a nord-ovest di Londra, nella estrema periferia. Quando la metropolitana emerge dal buio e diventa overground  il paesaggio è completamente diverso da quello di stazioni come Earl's Court  e Kensington, la zona dalla quale siamo partiti. Vediamo costruzioni povere a schiera in una zona semi-industriale con poche case e strutture fatiscenti. Uscendo dalla metropolitana abbiamo avuto l'impressione di essere in un'altra città, meglio, in un piccolo paese dove l'enormità delle insegne di IKEA e TESCO contrastano con il paesaggio semideserto e le rarissime persone che si vedono per la strada. Veicoli, camion e TIR che sfrecciano a grande velocità sono ciò che attira maggiormente l'attenzione e il rumore del traffico intenso e pesante è assordante.

Usciti dalla fermata di Neasden è necessario prendere due diversi autobus per arrivare al tempio: ma non hanno nulla a che vedere con gli autobus a due piani che riempiono il centro di Londra: sono piccoli e fatiscenti, i conducenti sono visibilmente stanchi e insofferenti e la proverbiale puntualità ed efficienza dei trasporti londinesi è ormai solo un ricordo.

Attendiamo alla fermata l'autobus che dovrebbe portarci al tempio che, puntualmente arriva, anzi: a distanza di pochi minuti ne arrivano tre, ma tutti con il cartello "fuori servizio". Nessuno ha saputo spiegarci il perchè. Alla fine, avvezzi alle usanze romane, e consci che quello deve essere un giorno sfortunato per noi, facciamo come avremmo fatto a Roma in un giorno di quelli "neri": decidiamo di  andare "by feet".

Alla fermata, però, facciamo una interessante conoscenza. Un signore indiano dell'apparente età di 60 anni,  nato in Kenya,  ci racconta la sua vita: dice di aver visitato tutti i pesi europei tranne l'Italia, che le sue figlie vivono tutte a Londra e che è contento perchè le vede spesso. Si dilunga a a raccontarci che vive a Londra da 10 anni e poi comincia a decantare quelle che lui immagina essere le "meraviglie" dell'Italia che non ha mai visto. Tra le meraviglie indica in particolare due persone: Donadoni e Paolo Rossi. Un fatto abbastanza divertente sul quale scherziamo in abbondanza visto che era passato il secondo autobus fuori servizio e avevamo tempo da occupare mentre speravamo che ne arrivasse un terzo.

Nel frattempo il caldo si era fatto insopportabile con una temperatura che, quel giorno, a Londra superava i 30 gradi.

Alla fine salutiamo il gentile signore che aspettava pazientemente il suo autobus da molto prima che arrivassimo noi  e ci avviamo verso il tempio a piedi. Nel tragitto l'ennesima maledizione: una delle mie scarpe da ginnastica decide di rompersi rendendo ancora più avventurosa e difficile la nostra camminata.

Arrivati nei pressi del tempio vediamo prima di tutto la Swaminarayan School, Centro di istruzione e cultura indù.

Dall'altra parte della strada finalmente vediamo l'imponente edificio bianco (molto marmo di Carrara)  del tempio. L'ingresso è presidiato da una guardia che ci permette di fare qualche foto all'esterno e poi ci obbliga a lasciare le borse e tutto ciò che abbiamo in un edificio posto di fronte al tempio, accanto al supermercato e al ristorante indiano.

Dopo aver lasciato tutto ci fa finalmente entrare in un edificio posto accanto al tempio  dove veniamo di nuovo attentamente osservati e perquisiti fino a quando una gentile signora dice a me di andare a destra e a mio figlio di andare a sinistra, verso le rispettive stanze, poste ai due lati dell'ingresso, in cui dovevamo lasciare le nostre scarpe.

A quel punto ho pensato che era un bene dover lasciare le scarpe, visto che le mie erano fuori uso. Tuttavia il fatto di dover procedere da quel momento in poi a piedi scalzi mi ha creato un certo disagio, era un pò come sentirsi "nudi".

Fatto questo ulteriore atto di obbedienza agli usi e costumi indù ci avviamo verso l'interno dell'edificio dove vediamo alcuni anziani indiani parlare tra loro e voltarsi al nostro passaggio con dei bellissimi sorrisi stampati sul viso. Ci troviamo in quello che è stato costruito per essere il centro culturale e il luogo destinato ad ospitare i fedeli per la preghiera.

Arrivati a un certo punto vediamo, alla nostra sinistra, una stanza con una ventina di persone sedute per terra e un maestro che stava facendo una sorta di "omelia" voltato verso di loro mentre alla sua sinistra (al centro della stanza) si vedeva una stratuetta femminile dalla quale sprigionava una fontana d'acqua. L'anziano maestro parlava una lingua del tutto sconosciuta e noi siamo rimasti qualche momento ad osservare rimanendo fuori della porta fino a che un'altra persona ci ha invitato ad entrare e a sederci per terra, separati dai fedeli grazie a una piccola balaustra. 

Durante la funzione i presenti cantavano, il guru nominava spesso il loro attuale guru Pramukh Swami Maharaj e indicava di tanto in tanto ai fedeli alcune azioni rituali da fare, come prendere un pò d'acqua da un recipiente e metterla sulle mani, battere le mani velocemente e dolcemente, dondolarsi ecc.

A un certo punto il guru si è voltato verso di noi e ci ha chiesto se comprendevamo l'inglese. Al nostro assenso ci ha chiesto i nostri nomi e poi li ha "recitati" inserendoli in un mantra ripetuto diverse volte e ci ha chiesto di ripetere per una sola volta la parola-mantra. Al termine della funzione, mentre intonavano dei canti, i fedeli si sono alzati e sono andati a versare l'acqua rimasta nei loro recipienti sulla testa della statuina che si trovava al centro della stanza.

Dopo aver assistito alla funzione siamo andati a visitare la bellissima mostra, un'apologia dell'induismo e del tempio, che si trova nell'edificio.

L'accesso al tempio era al piano superiore dell'edificio. Quando ci siamo ritrovati dentro siamo rimasti veramente incantati dalla bellezza del marmo e dalla perfezione della sua lavorazione. Spiccavano nel bianco accecante del tempio, per i loro colori accesi, le immagini e statue dei loro dei, alcuni dei quali posti su quelle che io ho definito "altalene". Nella religione induista, le Murti sono rappresentazioni fisiche (immagini, statue, ecc.) di forme o aspetti di Dio, utilizzate durante l’adorazione come punti di focalizzazione devozionale e meditativa.

Dopo aver dato un'occhiata al luogo stavamo per tornare sui nostri passi quando un inserviente ci invita a spostarci verso il fondo del tempio perchè stava per iniziare una funzione religiosa. Con l'occasione ci avviamo verso l'uscita, ma veniamo ragggiunti da un altro personaggio che ci chiede, con fare risentito/offeso, come mai non ci fermiano per la funzione.

Colta di sorpresa mi affretto a dire che certamente non avevamo alcuna intenzione di disertare la funzione e che stavamo appunto per decidere di rimanere (effettivamente si trattava di una piccola bugia a fin di bene). Una volta ricevuto da me l'assenso l'anziano signore indiano mi istruisce dicendo che mio figlio deve andare davanti vicino agli dei e che io devo andare indietro vicino alle altre donne. 

Tra uomini e donne viene posto  un divisorio.

Dal fondo del tempio, in mezzo a misteriose melodie rilassanti, vedo un "sacerdote" vestito di arancione reggere tre fiammelle che fa ondeggiare davanti alle statue. Dopo aver ripetuto questo gesto per alcune volte, le fiammelle vengono consegnate agli inservienti che le portano agli uomini, seduti davanti, ciascuno dei quali "prende il fumo" che ne emana e poi passa le mani intrise del fumo sacro sulla sua testa. La cosa si ripete fino all'ultimo fedele di sesso maschile. Successivamente lo stesso gesto è ripetuto per le donne che vedo mettere nel piatto una moneta da una sterlina, subito dopo aver "attinto al fuoco sacro". Le monete vengono consegnate ad un inserviente che le mette tutte insieme e scompare.

Nel frattempo avevo perso di vista mio figlio, scomparso dietro un muro mentre era in fila con gli uomini che onoravano ogni singola statua prima di procedere verso l'uscita.  Con un certo sollievo lo vedo ricomparire ma, a quel punto, ero curiosa di sapere cosa c'era dietro il muro.

Il culto delle statue spetta anche alle donne e quello che mi ha incuriosito di più è stato il fatto che le divinità poste sulle "altalene" vengono onorate facendo dondolare l'altalena con una corda per tre volte.

Arrivata al muro misterioso, finalmente, svoltato l'angolo, vedo cosa c'è dietro: le statue dei guru fondatori di questa tradizione induista, compreso quello ancora vivente, che, almeno apparentemente, sono onorati come gli dei posti nella parte del tempio più visibile e importante.

Tornati verso l'uscita riprendiamo la via per recuperare prima di tutto le nostre scarpe e poi le nostre borse lasciate dall'altra parte della strada.

Ne abbiamo approfittato per dare un'occhiata al supermercato e al ristorante dove, dimenticando quello che avevamo tutte le buone intenzioni di ricordare, io ho chiesto della carne e mio figlio del vino. Ma i gentili indiani che ci hanno ospitato sono abituati ai visitatori maldestri e ci hanno risposto con un gentilissimo "no" e un sorriso benevolo.
Anche nel supermercato c'era una gigantesca foto commemorativa del  guru che vedete qui da me stessa immortalata.

Un'esperienza interessante e indimenticabile a contatto con un mondo religioso del tutto estraneo alla mia esperienza e tradizione, ma ugualmente degno di rispetto e considerazione per il profondo senso di spiritualità che ne emana e che, in fondo, ci accomuna.

Palazzo Ferrajoli sede della mostra

Libreria Feltrinelli

Foto con l’autore

Un pomeriggio “alternativo”

(Roma, 18 aprile 2012)

Ho trascorso il pomeriggio del 16 aprile 2012 in modo inusuale, ma molto arricchente, come avviene sempre quando si trascorre un pò di tempo in attività alternative alle "solite".

Palazzo Ferrajoli sede della mostra

Alle 16 mi trovavo a Piazza Colonna, proprio sotto la colonna di Marco Aurelio, con Palazzo Chigi alle mie spalle, in procinto di entrare a Palazzo Ferrajoli, prestigioso Palazzo del 1500, dove si svolgeva la Mostra promossa dal CCDU (Comitato per i Cittadini per i Diritti Umani). Tema: Il volto sconosciuto della psichiatria. Passato e presente di errori e orrori.

La Mostra, fatta di gigantografie, poster e, soprattutto, filmati, reportage, interviste, testimonianze, ecc. inizia dalla prima stanza dove ci sono i materiali divulgativi a disposizione dei visitatori e poi, stanza dopo stanza, comincia un percorso guidato.

I visitatori sono invitati a sedersi di fronte allo schermo per vedere i filmati multimediali che, in ordine consequenziale e logico, vengono proiettati dalla prima all'ultima stanza.

Quando sono arrivata nella prima stanza ho trovato una ragazza che dimostrava circa 20 anni, probabilmente studentessa universitaria, che, mentre guardava il video, prendeva diligentemente appunti sul suo taccuino.

I volontari presenti, con grande gentilezza, si prestavano a rispondere ad eventuali domande, o a riprodurre i filmati dall'inizio quando arrivava un nuovo visitatore.

Durante l'ora trascorsa alla Mostra ho visto avvicendarsi 7 o 8 persone. Al termine del percorso sono stata accompagnata da un volontario nella prima stanza dove c'erano i libri e le videocassette sui temi della mostra e mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sul libro degli ospiti (richiesta a cui ho gentilmente preferito non ottemperare).

Ho letto, però, gli ultimi commenti che erano stati scritti dai visitatori che mi avevano preceduto: parole che esprimevano stupore e indignazione per le "torture" che avevano visto nei video, gli abusi che erano stati filmati, ecc.

Una volontaria mi ha regalato alcuni opuscoli e mi ha salutato con fare molto cordiale.

Uscendo mi sono imbattutta nei ragazzi "sandwich", che, in Piazza Colonna, pubblicizzavano la mostra con enormi cartelloni addosso: erano le 17 e, complice il bel tempo, c'era una folla enorme di turisti e gente romana a passeggio, anche per fare shopping dentro la Galleria Alberto Sordi, che si trova proprio dall'altro lato della strada.

Qual'è stata la mia impressione di fronte a quello che ho visto?

Se fossi stata una persona con scarsa conoscenza dei temi affrontati nei filmati credo che sarei uscita con un senso di orrore profondo verso la psichiatria e gli psichiatri e, magari, mi sarei anche chiesta come mai crimini gravissimi come quelli denunciati nei video della mostra siano passati quasi sotto silenzio.

E se fossi stata una madre con un figlio autistico o una moglie con un marito depresso avrei cominciato a chiedermi se tenerli sotto cura da uno psichiatra fosse veramente una buona idea o avrei dovuto, forse, fare qualcosa di diverso. Ma cosa?

Nei video che ho visto (ma ammetto di non averli visti tutti perchè dovevo recarmi ad un altro interessante evento di cui parlerò dopo) in realtà non veniva indicata una "soluzione" o una alternativa chiara agli "errori e orrori" della psichiatria.

Nell'ultima intervista che ho ascoltato l'esperto affermava che le persone non vanno trattate come matte perchè la pazzia non esiste e che i farmaci non servono, la malattia mentale sarebbe solo una sovrastruttura creata ad hoc per fare guadagnare psichiatri e case farmaceutiche, costringere una persona a ricoverarsi è un attentato ai diritti civili di quella persona e una profonda ingiustizia.

In un altro video ho sentito appena accennare al fatto che ciò che è importante per l'uomo è la sua anima e che voler curare l'anima con le medicine è un assurdo e un abuso.

E allora? Che fare, se la psichiatria e gli psichiatri sono non solo inaffidabili perchè la loro è una pseudoscienza, ma addirittura pericolosi?

Se la mostra mi avesse instillato quel dubbio e se avessi avuto un parente sotto cura psichiatrica io avrei chiesto ai volontari del CCDU di aiutarmi a capire cosa fare per i miei cari sofferenti, visto che, stando a quello che la mostra vuole dimostrare, la strada della medicina psichiatrica non è quella giusta.

Mi sto ancora chiedendo cosa avrebbero risposto i volontari a una domanda come questa...

Tornando a me, i filmati che ho visto mi hanno molto colpito ma non convinto. Perchè non mi hanno convinto? Perchè mostrano una parte della realtà e tacciono sull'altra.

Gli abusi della psichiatria e degli psichiatri mostrati nei filmati sono veri, sono fatti realmente accaduti. L'uso indiscriminato degli psicofarmaci da parte degli psichiatri è un fenomeno che si è verificato e si verifica ancora, la strumentalizzazione dei malati al fine di aumentare i profitti della case farmaceutiche è un fatto reale, la connivenza degli psichiatri con le teorie eugenetiche ai tempi del nazismo ha causato sofferenze inaudite, ecc...

Ma ... non è vero che tutti i mali dell'umanità sono stati causati dalla psichiatria, non è vero che lo sterminio di sei milioni di ebrei è stato causato dalla psichiatria, non è vero che tutti i farmaci sono nocivi e portano le persone al suicidio o all'omicidio, non è vero che tutti gli psichiatri sono degli assassini, torturatori e assetati di soldi e potere.

Io credo che non si possa additare al mondo come "pericolosa" una intera categoria di persone. Conosco psichiatri che fanno il loro lavoro con equilibrio e rispetto per i loro pazienti e conosco psichiatri che non hanno alcun rispetto per i loro pazienti: quando stanno male semplicemente li imbottiscono di psicofarmaci perchè rimangano sedati e non diano fastidio.

Ho visto persone depresse prendere psicofarmaci dosati in modo personalizzato e, accompagnati dall'aiuto di uno psicologo o di uno psicoterapeuta, riprendere, nel tempo, le redini delle loro vite tanto da non aver più bisogno delle medicine.

Inoltre, è un dato storico che gli abusi della psichiatria sono stati denunciati dagli stessi psichiatri, e questo vuol dire che gli psichiatri NON sono tutti uguali. La lotta per la difesa dei diritti dei malati è stata durissima per gli psichiatri che l'hanno intrapresa perchè erano considerati dei "traditori" della categoria. E questo vuol dire che non si può criminalizzare in toto una categoria di persone in base alla consueta contrapposizione "noi contro loro" e all'idea "loro sono tutti cattivi": sono affermazioni false e non reggono alla prova dei fatti.

Io credo che sia giusto mettere in guardia le persone dagli abusi, dall'uso indiscriminato degli psicofarmaci, cosa che fanno anche altre associazioni e, soprattutto, anche gli stessi professionisti della categoria, molte volte ostracizzati dai loro stessi colleghi.

Criticare una categoria, denunciarne gli abusi è un atto di civiltà che va apprezzato e sostenuto, ma demonizzare migliaia di onesti professionisti indiscriminatamente come criminali mi sembra ingiusto e, paradossalmente, mi sembra che possa dare origine ad altri "abusi" generando, nelle persone che aderiscono pienamente a questa idea, odio contro tutti gli psichiatri.

E' lo stesso diabolico meccanismo per il quale etichettare un gruppo come "setta" significa additarlo, in toto, come un gruppo di criminali; definire una persona "pazza" significa etichettarla come "pericolosa"; dire che uno è "musulmano" significa che è un terrorista, e si potrebbe andare avanti per pagine e pagine elencando le "etichette" attribuite a questo o a quello, dimenticando, sempre, che sotto le "etichette" ci sono le persone e che ogni persona ha una propria dignità e un valore inestimabile per cui va semplicemente rispettata, che sia psichiatra o malato, cattolico o scientologo, ebreo o musulmano.

Quest'ultima riflessione mi porta alla seconda indimenticabile esperienza che ho fatto nel pomeriggio del 16 aprile.

Dopo essermi lasciata alle saplle i ragazzi "sandwich" della mostra, mi sono incamminata per Via del Corso, gremita a quell'ora fino all'inverosimile, per recarmi vicino a Piazza del Popolo, nella celebre Via del Babuino, per assistere alla presentazione del libro di Luca Bauccio "Primo, Non diffamare", tenutasi alla libreria Feltrinelli.

Mentre camminavo mi chiedevo se, senza volerlo, i due eventi non fossero stranamente collegati, in qualche modo ... e a questo punto direi proprio di sì...

Alla presentazione, oltre all'autore del libro, c'erano anche Antonello Piroso (giornalista, presentatore TV) e Roberto Deriu (direttore della rivista Chimera).

Il libro di Luca Bauccio tratta del malcostume, pericoloso e fin troppo diffuso, di diffamare le persone, un malcostume che diventa disastroso quando viene amplificato dai media e usato per influenzare l'esercizio del potere giudiziario.

I primi ad ammettere la scarsa eticità del modo di fare informazione, oggi, da parte del mondo mediatico, sono stati due addetti ai lavori, il giornalista Piroso e il direttore della rivista "Chimera", entrambi impegnati a lavorare in quel mondo dal quale nascono, ogni giorno, nuove "streghe" e nuovi "roghi".

Altro tema affrontato durante la presentazione è stato quello della "giustizia", del caso "Enzo Tortora" e di tutti i casi di malagiustiza nei quali polizia, magistratura e media, quando non sono sufficientemente attenti a rispettare i fatti e la verità, possono procurare sofferenze, dolori e danni incalcolabili alla vita delle persone.

Come potevo non immedesimarmi in quelle riflessioni? E come potevo non pensare alle centinaia di persone che in questi anni sono state vilmente colpite dalla diffamazione nutrita e diffusa grazie ad operatori dell'informazione senza etica?

Di fronte alla menzogna, Luca Bauccio, nel suo libro, ci insegna a "difenderci" e a non accettare passivamente l'ingiustizia.

La foto con l'autore è un bel ricordo di quella serata, allietata dalla consapevolezza che, in mezzo a noi, ci sono ancora persone che credono nel valore inestimabile di ogni essere umano, nell'importanza di proteggere e onorare ogni "nome" e nel fatto che dire la verità su qualcuno è un dovere, mentre mentire significa talvolta anche distruggere.

Tornando a casa, mentre aspettavo il 490 a Piazzale Flaminio, riflettevo sulla diversità di ambienti nei quali avevo trascorso le ultime tre ore.

Pensavo che, come al solito, se ci si pone nella prospettiva giusta, si riesce ad imparare qualcosa da qualsiasi esperienza, persona o evento nel quale ci capita di imbatterci.

                                           L'importante è cercare di guardare con gli occhi dell'altro.

Palazzo Ferrajoii sede della mostra

Un’ italiana a Londra: esperienze indimenticabili

(Londra, 9 marzo 2013)


Il Pub che era una volta la Bank of England

Ci sono parecchi aneddoti che potrei raccontare sulla mia permanenza a Londra, ma sono esperienze che non si possono scrivere. Andrebbero narrate in un contesto diverso da quello freddo e distaccato di una tastiera. 
Tuttavia alcuni di essi vale la pena ricordarli. 

Il primo in ordine di tempo riguarda la prima persona che ho incontrato alla London School of Economics (LSE). Era una ragazza giapponese che aspettava l'apertura del dipartimento. Eravamo entrambe in anticipo. Ci siamo presentate e abbiamo scambiato qualche parola. Il giorno dopo mi chiede se ho una pagina
facebook e così diventa una dei miei amici.

La rivedo qualche giorno dopo nell' Old Bank Of England Pub, dove si è svolto il primo dei Social Programs che la LSE organizza per aiutare gli studenti, provenienti da tutto il mondo, a socializzare. The Old Bank of England è uno dei locali antichi più belli in cui io sia mai stata. Il pub si trova nell’edificio che ospitava la Banca d'Inghilterra dal 1888 al 1979, in Fleet Street a Londra.


La mia compagna di corso mi guarda con un'espressione completamente diversa: occhi sgranati e
atteggiamento quasi timoroso. Io capisco che c’ è qualcosa di strano, mi avvicino e le chiedo come sta. Lei non mi risponde ma, continuando a fissarmi, mi chiede: "Are you a teacher?" "Yes, I am", rispondo. E lei:
 "Ohhhhhh".

Subito dopo si alza dalla sedia, viene verso di me e si inchina di fronte a me. L'inchino non era accennato, era molto marcato e, per questo, anche gli altri studenti la guardano stupiti, mentre io rimango lì impalata.

Non potevo crederci: aveva letto sulla mia pagina facebook che lavoro faccio e da quel momento ha cominciato a comportarsi in modo diverso. Ora, quando ci incontriamo, ha sempre un atteggiamento un pò protettivo e deferente verso di me. Così mi sono ricordata di aver letto, un po’ di tempo fa sul Web, questa notizia:  “In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere nenache gli imperatori“.

Un pomeriggio alla House of Lords di Westminster


Un'altra esperienza significativa che voglio condividere è il pomeriggio passato ad assistere a un dibattito che era in corso da alcuni giorni presso la House of Lords nel Palazzo di Westminster dove si riunisce anche  la House of Commons. Dopo diverse tappe per superare il sistema di sicurezza mi sono guadagnata il mio tesserino e sono finalmente arrivata nella House quando la discussione era già iniziata.

Purtroppo non si potevano scattare fotografie, per ovvi motivi, fatta eccezione per la grande Westminster Hall che è la Sala più grande dalla quale si accede alle due Houses e al resto del Palazzo, dove si svolgono anche altri  dibattiti.

La House of Lords è riccamente decorata, con il trono d’oro massiccio la cui bellezza lascia senza parole. I posti a sedere in aula sono foderati di tessuto rosso, motivo per cui la Camera è talvolta chiamata "Camera Rossa" (Red Chamber). I sostenitori del governo siedono su panche a destra mentre i membri dell'opposizione sono seduti a sinistra. 

Appena arrivata  ho passato i primi cinque minuti ad osservare le meraviglie della House senza riuscire a concentrarmi su quello che i Lords dicevano. Ma quando ho cominciato ad ascoltare mi sono resa conto dell'importanza dell'argomento.

Il dibattito a cui ho assistito riguarda la legge "Enterprise and Regulatory Reform Bill - Report (day 2) [Viscount Younger of Leckie]. Si è aperto con l’intervento di Lord Harries of Pentregarth, vescovo anglicano, che ha chiesto di inserire un emendamento nel testo della  legge Equality Act 2010, l’emendamento 73, sulla discriminazione a causa delle caste “caste discrimination”.

Nel suo intervento il Lord ha detto che in Gran Bretagna, nelle comunità indiane,  ci sono persone discriminate, nella sfera pubblica, che non vengono assunte o vengono maltrattate nel luogo di lavoro solo perchè appartengono a una casta. Lord Harries ha chiesto non solo di intervenire attraverso campagne di educazione e informazione, ma di far rientrare la discriminazione per casta nei casi di cui la legge si occupa in
modo che questi comportamenti siano sanzionati, nello stesso modo in cui esistono leggi contro la discriminazione razziale che si sono rivelate utili ed efficaci perchè lo Stato, approvandole, interviene facendo capire ai cittadini che queste discriminazioni non possono essere tollerate. 


Il Lord ha aggiunto che in India, Bangladesh e Nepal  ci sono leggi contro la discriminazione per casta ma in quei paesi, nonostante le leggi, questa idea è talmente radicata che non si riesce a risolvere il problema. In Gran Bretagna è diverso, la legge verrebbe fatta rispettare. Se quei paesi hanno una legge simile perché in Gran Bretagna non dovrebbe esserci? 

Il vescovo ha continuato dicendo che, dai risultati di una indagine, risulta che nelle comunità indiane persiste la distinzione delle caste e che questo causa discriminazioni nei luoghi di lavoro, persecuzioni di indiani contro altri indiani che hanno l'unica colpa di essere nati in una determinata famiglia. Ecco perchè esponenti della Chiesa anglicana e della comunità indù chiedono che si intervenga con una legge che punisce questo
tipo di  discriminazione. 

Dopo quello del vescovo molto interessante è stato anche l’intervento di una donna indiana che ha raccontato quello che succede ancora oggi in India dove la distinzione tra caste causa  morti, persecuzioni e abusi di ogni genere. Ci sono genitori che uccidono i figli perchè questi ultimi hanno sposato persone di un'altra casta. La donna ha anche detto che ci sono persone che appartengono alle caste potenti che non vogliono questo emendamento perchè si sentono minacciate da una simile legge. 

Dopo diversi interventi di altri Lords su questo argomento una rappresentante del Governo ha risposto affermando che il problema si può affrontare con iniziative educative  e che bisogna approfondire la questione per verificare esattamente quello che sta succedendo in Gran Bretagna. Dunque è necessario fare una ulteriore indagine sul fenomeno. 

So che il dibattito è andato avanti anche nel giorno seguente e non so quale sia stato l’esito. Tuttavia l’esperienza di assistere a questo spaccato di vita politica “straniera” è stata molto arricchente e conto di ripeterla alla House of Commons. 

Ricordi dei giorni di studio alla London School of Economics

(Gennaio-Aprile 2013)

Conferenza OSCE 2013

(Varsavia, 26 settembre 2013)

Un’altra esperienza particolarmente significativa è stata quella che ho vissuto il 26 settembre 2013, giorno che la Conferenza OSCE/ODIHR ha dedicato alla Libertà di religione o credo (Freedom of Religion or Belief).

La giornata si è articolata in sessioni plenarie, una in mattinata e l’altra nel pomeriggio, con alcuni Side Events su argomenti specifici organizzati da ONG di diversi paesi.

L’atmosfera del Sofitel Hotel, dove si svolgeva la conferenza, era quella frenetica, vivace e colorata dei meeting internazionali e contrastava con quella delle strade che portano dalla periferia al centro di Varsavia, silenziose, semideserte e austere.

La partecipazione alla Conferenza tenuta nella Plenary Hall è stata una delle esperienze più interessanti da quando avevo iniziato a frequentare meeting internazionali: mentre ascoltavo le dichiarazioni degli altri partecipanti, che vengono tradotte in simultanea in tutte le lingue, ho avuto la possibilità di vedere in un certo senso, “il mondo in una stanza”.

Il panorama internazionale delle violazioni della libertà di religione o credo, nazione per nazione, si è dispiegato, davanti ai miei occhi, attraverso le descrizioni dei partecipanti, come un sistema oscuro di cui, rimanendo nel proprio territorio, si ignora l’enormità e la profondità.

In un minuto e 30 secondi, il tempo concesso a ciascuno, il quadro sintetico dei problemi veniva presentato insieme alle raccomandazioni sia agli Stati di appartenenza che all’OSCE. Tutti noi abbiamo chiesto ai rappresentanti del propri Stati lì presenti e all’OSCE di intervenire per ristabilire i diritti violati o almeno di fare qualcosa per comprenderne le cause e cercare le soluzioni.
La mia sensazione, ascoltando le dichiarazioni degli altri, è stata quella di chi credeva che ci fossero delle libertà ormai universalmente difese, nel mondo, e che, improvvisamente, si rende conto che quella convinzione era solo un sogno ... i diritti umani sono e rimarranno sempre a rischio di essere violati e avranno sempre bisogno di essere difesi.

Le innumerevoli violazioni dei diritti delle minoranze religiose, che ho potuto ascoltare dalla viva voce dei testimoni e degli altri attivisti, portavoce delle vittime, mi hanno lasciato esterrefatta. Ancora di più mi ha colpito il fatto che queste violazioni si verificano, copiosamente, anche nella civilissima Europa, che dovrebbe insegnare qualcosa agli altri continenti, e invece non finisce mai di imparare. La Russia, l’Ungheria e la Francia sono le nazioni più attive nell’opera di discriminazione.

La conoscenza e lo scambio di idee con i rappresentanti di queste ed altre ONG impegnate in Europa sul fronte della difesa della libertà religiosa delle minoranze, è stato molto arricchente e mi ha permesso di acquisire una consapevolezza che prima non avevo, quella che il problema della discriminazione e stigmatizzazione delle minoranze religiose e spirituali non può essere affrontato e risolto se non si crea un coordinamento almeno europeo che dev’essere, però, del tutto indipendente non solo dagli Stati ma anche da qualsiasi altro gruppo di pressione.