Recensione del Libro La Notte Bianca
di Raffaella Di Marzio
Dalla Guyana all'Uganda: "Quelli che non ricordano il loro passato sono condannati a ripeterlo"
18/11/1978 918 morti nella Guyana 19/09/1985 60 morti sull'isola di Mindanao 29/08/1987 32 morti nella città di Yonging 19/04/1993 84 morti a Waco nel Texas 11/10/1993 53 morti a Ta He in Vietnam 05/10/1994 53 morti in Svizzera e Canada 20/03/1995 12 morti e 5000 intossicati a Tokyo 23/12/1995 16 morti sulle Alpi Francesi 25/03/1997 39 morti a Rancho Santa Fe 17/03/2000 oltre 1000 morti in Uganda |
Oggi, 18 novembre 2000, ricorre un tristissimo anniversario: quello della strage della comune di Jonestown, la setta guidata dal pastore Jim Jones che costò la vita a più di 900 persone tra le quali molti bambini. Quella strage è stata seguita da altre stragi simili avvenute all’interno di gruppi settari di varia matrice, i cui leader hanno indotto i propri seguaci a suicidarsi o a commettere omicidi.
Dopo ciascuno di questi eventi si assiste invariabilmente all’esplosione di valanghe di titoli a caratteri cubitali, molto rumore, tante recriminazioni e, dopo qualche giorno, inesorabilmente, il silenzio. Dopo ogni strage ci si chiede il perché e la risposta fornita è, a suo modo, rassicurante:" Sono ‘matti’ guidati da un ‘matto’. Non c’è da preoccuparsi: a noi non capiterà". Spiegazioni più dotte sono quelle di chi cerca di inquadrare il massacro in qualche categoria esplicativa delle scienze sociali o di chi ne cerca le cause non solo all’interno del gruppo, ma anche all’esterno, "criminalizzando" perfino coloro che, presagendo la tragedia, avevano cercato di scongiurarla.
Con tutto il rispetto per l’intento degli studiosi e di quanti fanno informazione, non c’è dubbio che tutti, indistintamente, molto presto "dimenticano", ma solo fino al prossimo massacro, dopo il quale ogni cosa si ripete, sempre allo stesso modo, proprio come in una "liturgia" sempre uguale a se stessa. Sembra che, ogni volta, a cambiare siano solo i nomi e il numero dei morti.
Tra i tanti massacri elencati, quello di Jonestown, emblematico e sconvolgente per le sue particolari caratteristiche, lo avevo del tutto dimenticato: fino a qualche anno fa, infatti, non ricordavo neanche che fosse avvenuto.
Un’occasione per riflettere su questa "dimenticanza" mi è stata offerta da un libro, La Notte Bianca, di Domenico Arturo Nesci, che affronta la tragedia di Jonestown da una prospettiva diversa da tutte le altre che conoscevo: quella etnopsicoanalitica. Gli aspetti di questo libro che metterò in evidenza sono molto parziali e rischierò di dare un’immagine semplicistica dello studio complesso e profondo di Nesci, ma voglio correre questo rischio poiché il mio intento è quello di non privare i nostri lettori (certamente non tutti esperti conoscitori di etnopsicoanalisi) di alcune intuizioni, a mio avviso profonde e significative, presenti in quest’opera. L’autore sostiene che la tragedia di Jonestown può essere spiegata e interpretata in modi diversi, ma non può essere rinnegata. Egli, in modo originale e creativo, prima di tentare di trovare un significato alla tragedia, esamina le sue reazioni di fronte all’evento, cercando di trovare in se stesso la chiave interpretativa più adatta a "leggere" la vicenda. Nello stesso modo evidenzia come la reazione del mondo di fronte a Jonestown abbia assunto le caratteristiche di "una vera e propria ‘rimozione collettiva’, o meglio, di un rinnegamento (o disconoscimento) collettivo" causato dall’ "effetto perturbante che ha suscitato".
INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE
Il primo "stratagemma" per manipolare la tragedia viene individuato in un libro, uscito subito dopo il fatto, nel quale il sottotitolo "La vera storia del Tempio del Popolo e dell’orgia suicida" conteneva due "slittamenti" terminologici utili per fuorviare e rassicurare il lettore. Il primo era la trasformazione del nome del gruppo che, da "Tempio dei Popoli", era diventato "Tempio del Popolo". Il secondo era la manipolazione dei fatti, grazie alla quale un caso complesso di "suicidio-omicidio collettivo" era diventato un "suicidio di massa". L’effetto sui lettori è evidente: se la tragedia riguarda un popolo (cioè altri), e se questo popolo si è suicidato in massa (e quindi non esiste più), perché preoccuparsi? La conseguenza di questo disconoscimento della realtà si manifestò, allora, in questo modo: poiché i morti della Guyana appartenevano a un popolo straniero, nessuno li voleva: la Guyana attribuì tutte le responsabilità a Jones e non diede sepoltura alle salme, gli americani le ripresero ma non riuscirono a identificarle tutte (i cadaveri senza nome erano più di 200, soprattutto quelli dei bambini), il Presidente degli Stati Uniti disse che la setta di Jonestown non era americana e che l’evento non si era verificato sul territorio nazionale.
Oggi, a distanza di ventidue anni, si cerca di prendere le distanze da Jonestown "imprigionando" i membri della comune in una categoria che, a seconda dei casi, permette di considerarli "diversi" e di prenderne così le distanze. C’è quindi chi li definisce "americani figli del capitalismo", chi afferma che "erano comunisti seguaci di un fanatico rivoluzionario", chi precisa che "erano falsi cristiani guidati da un pastore ‘deviato’" .
Ritengo che le diverse interpretazioni della tragedia fornite dagli studiosi siano generate da una caratteristica peculiare di Jones, che Nesci chiama "doppiezza". Jim era infatti profondamente disturbato e ambiguo: i suoi seguaci nel dattiloscritto Niente aureole prego affermano: "... Una rivelazione proprio di recente resa nota al gruppo, una rivelazione che è scaturita durante una potente fervida effusione può sembrare complicare questo argomento, ma lasciate che le vostre menti si calmino con un'ennesima riaffermazione, 'egli non vuole essere venerato'. Questa è la rivelazione ' tu sei il dito di Dio, il Dio incarnato, l' io sono colui che sono che Dio ha mandato'. Questo fu partorito in modo talmente urgente e traboccante che per un momento Jim stesso sembrò vacillare. Riprendendo il suo respiro disse 'Quella è la prima volta che lo abbia mai detto' ... " (Peoples Temple, documento non datato n.6). Jones, dunque, afferma di essere Dio e, nello stesso tempo, se ne stupisce.
Una volta in Guyana, il 31 luglio 1977, rivolge un discorso alla radio ai suoi sostenitori di San Francisco nel quale afferma di essere ingiustamente accusato di essersi proclamato Dio e dice di non credere nemmeno all'esistenza di un "Maledetto Dio". Subito dopo, nello stesso discorso, afferma ripetutamente di essere in grado di guarire. Nell'Agosto del 1978 annuncia di avere un cancro al polmone insinuando che ciò era dovuto al fatto che aveva guarito sua moglie da quel tipo di tumore. In una delle lettere inviate ai fedeli rimasti in America Jones fa passare subdolamente il messaggio che lui stesso stava morendo perchè aveva guarito tutti i suoi fedeli dal cancro : una sorta di "redenzione" o "crocifissione" espiatoria. Segni evidenti di questo "divino potere" di guarigione sono i pezzetti di stoffa della veste di Jones "unta e benedetta da lui", offerti ai fedeli come talismano e la diffusione di volantini distribuiti per reclamizzare il suo "Ministero miracoloso di Cristo" nelle città americane.
Un’altra mistificazione dell’evento Jonestown risiede nel fatto che i mass media lo definirono come "caso unico e mostruosità senza precedenti". Poiché conoscere vuol dire "ricondurre qualcosa di ignoto al già noto", se Jonestown è un "caso unico" allora si deve concludere che si tratta di qualcosa di "inconoscibile": non resta che distanziarsene e dimenticare. Nesci vede in questo modo di "fare notizia" un modo per esorcizzare, da parte della stampa, il ruolo indubbiamente rilevante che essa aveva avuto nella tragedia, quando alcuni giornalisti erano stati parte in causa nella guerra tra membri ed ex-membri del Peoples Temple e quando proprio i giornalisti erano diventati il principale bersaglio delle pallottole della Red Brigate (la squadra armata di Jones). Grazie anche a questo colossale disconoscimento qualsiasi indagine seria è stata scongiurata su "una strage di bambini, di donne, di anziani, di emarginati, di negri, finanziata (sia pure inconsapevolmente) dalla ‘beneficenza’ pubblica e privata, somministrata da un medico, resa possibile da notevoli ‘coperture’ politiche e religiose".
Inoltre, in modo simile a quanto accaduto recentemente in Uganda (quando il numero dei morti cresceva di giorno in giorno), anche allora l’ammontare delle vittime era "nascosto" da una sorta di "maschera della morte". Infatti, "nelle immagini atroci, in cui si contemplava dall’alto una massa di cadaveri" era celata la terrificante realtà che le persone che si pensavano scampate erano in realtà "anch’esse cadaveri - ormai difficilmente identificabili - ammassati sotto altri cadaveri".
I "FANTASMI" CHE RITORNANO
A dispetto delle rimozioni e negazioni collettive il "fantasma" di Jonestown non si lascia dimenticare tanto facilmente. E così, il 13 Marzo 1979 uno dei sopravvissuti convoca una conferenza stampa nella quale rivela l’esistenza di una registrazione dell’ultima ora di Jonestown voluta da Jones per testimoniare i motivi per cui la gente era morta. Rendere pubblica quella registrazione voleva dire per lui dare un senso alla morte di oltre 900 persone. Dopo questa dichiarazione il sopravvissuto si uccise. Egli agiva ancora sotto l’influsso del fascino della "parola parlata" il cui primato era uno dei motivi fondanti del gruppo, nel quale il potere del "verbo" era molto superiore a quello della "parola scritta". Non a caso, infatti, il primo giornale della chiesa si chiamava "La parola vivente" e il fatto che Jones usasse sistematicamente il registratore durante le funzioni religiose era un modo per essere sempre presente di fronte ai suoi seguaci, convinti di essere in comunicazione telepatica con lui: "...si pretendeva che tutti abitassero nel corpo e nella mente di tutti e che le separazioni e i limiti (individuali, spaziali, temporali) fossero scomparsi. Così, ad esempio, ... i vecchi diventavano figli dei giovani, i negri dei bianchi; i genitori naturali venivano rinnegati, insieme al mondo e al tempo profani, nell’edificazione dell’eterna utopica illusione: una comunità senza male, una comunità senza morte (in una intervista Jones dichiarò di aver resuscitato 43 persone!) Erano queste le voci che si volevano immortalare nella cassetta dell’ultima Notte Bianca (Nesci 1986)..." . Per gli adepti del Tempio dei Popoli la morte sarebbe stato un "miracolo "grazie al quale "Il corpo mistico del gruppo, invecchiato ferito e storpiato dagli attacchi dei suoi nemici e dei ‘traditori’, si sarebbe magicamente ricomposto nel passaggio all’altra dimensione". Grazie alla dottrina della reincarnazione gli adepti del Peoples Temple potevano rinnegare la loro nascita individuale e anche la morte individuale, rinnegando i genitori naturali per sostituirli con l’affiliazione al Tempio e al suo "Padre".
PROVE DI MORTE
La "Notte Bianca" di Jonestown, contrariamente a quanto si crede, non è stata la prima, ma l’ultima di precedenti "prototipi". Citando alcune testimonianze Nesci afferma che Jones aveva fatto, negli anni precedenti al 1978, delle "prove", dei "tests" per verificare la lealtà dei suoi seguaci. Un primo episodio risale al 1973 ed è narrato da una donna ex membro (assassinata insieme al marito dopo il suicidio collettivo della Guyana). Il racconto in sintesi è questo: Jones convoca un gruppo ristretto (i consiglieri della Planning Commission) e si lamenta della fuga di 8 persone dalla comune che avrebbero potuto danneggiare la chiesa dicendo menzogne. Subito dopo afferma che era giunto il momento di fare insieme la "traslazione", cioè voleva che tutti i consiglieri si uccidessero contemporaneamente. La sua promessa era che sarebbero andati su un altro pianeta e avrebbero vissuto insieme per l’eternità. A quel punto alcuni consiglieri si allontanarono e altri dissero di essere pronti a morire. Jones scrisse i nomi di quelli che si erano rifiutati e, dopo aver letto lentamente la lista, disse :"Una persona non è degna di fede finché non è completamente pronta a deporre la sua vita per questa Causa" (Mills, 1979). In questo modo Jones fondava il suo potere sull’affermazione che era necessario rinnegare la nascita e la morte come limiti naturali, infatti "per essere ‘degni di fiducia’ bisognava essere pronti al suicidio".
Un altro episodio simile si è verificato nello stesso periodo e riguarda una donna, fuggita da Jonestown il 13 maggio 1978, che denunciò l’imminenza del suicidio in un affidavit, del tutto ignorato quando si poteva ancora prevenire la tragedia. Grazie a questa testimonianza Nesci fa notare come la Notte Bianca significasse per il gruppo una sorta di "rito istituzionalizzato", al posto dei due riti fondamentali precedentemente utilizzati nel gruppo per "eliminare il male": i miracoli e gli esodi. Una volta in Guyana, infatti, Jones aveva perso le sue capacità di fare "miracoli", soprattutto dopo la morte della madre che il "figlio divino" non era riuscito a salvare. In quanto a un possibile esodo in Unione Sovietica, la Russia diffidava di Jones e non incoraggiava il trasferimento in massa. In questo modo "bere il veleno" consentiva ai credenti di resuscitare (e quindi di sentirsi miracolati) e "fare una traslazione" voleva dire realizzare un nuovo esodo.
Nesci sottolinea come le "prove" del suicidio collettivo si intensificassero dopo l’arrivo nella Guyana, nel 1977. Prima si chiamavano "Omega", poi "Alfa", "Notti Nere" e infine "Notti Bianche". Le Notti Bianche cominciavano sempre con Jones che attirava l’attenzione dei seguaci parlando dei traditori ed esprimendo la sua sofferenza per i loro tradimenti, fino a quando i suoi adepti cominciavano a manifestargli, gridando, quanto loro, invece, lo amassero. Il "rito" si concludeva con l’affermazione di Jones secondo il quale l’amore dei suoi fedeli era l’unica cosa che gli consentiva di continuare a vivere. In una Notte Bianca dell’Aprile del 1978 Jones chiamò le persone al microfono e cominciò a chiedere se avevano paura di morire. Molti piangevano ma si dichiararono pronti a morire. Jones chiamò una ragazzina che si dichiarò pronta a morire, ma prima voleva salutare i suoi amici e cominciò a nominare tutti gli abitanti della comune.
Secondo lo studio di Nesci lo "schema" delle Notti Bianche è sintetizzabile nell’equazione "Abbandono del Peoples Temple = Tradimento = Morte del gruppo" e questo significava che a Jonestown ogni espressione di vita individuale, separata dal gruppo, assumeva irrimediabilmente il significato di tradimento. Come esempio di questo annullamento dell’individuo viene citata una confessione rivolta a Jones da un’adepta nella quale, tra l’altro, ella dice: "Cosa c’è di traditore in me? Il mio intellettualismo che mi fa credere, a volte, più nel mio giudizio che nel tuo… Se io pensassi che questa comunità stesse cadendo a pezzi …farei il massimo sforzo per tenerla insieme e risolvere le differenze… La cosa giusta sarebbe rimanere, rimanere in tutti i casi, anche se crollasse a pezzi: cadere c/Jt [con Jonestown, (N.d.A.)] se non riuscissimo a farcela tutti insieme" (Reston 1981).
LA FINE
Fu così che, come per tutte le altre, la registrazione dell’ultima Notte Bianca si apre con l’accusa (da parte di Jones) di "tradimento del secolo". Questo ultimo "tradimento" aveva distrutto, nel gruppo, l’illusione di felicità e unione totale con il suo leader. Il discorso finale di Jones ha lo scopo di modificare l’esame della realtà negandola e infatti egli dice: "... il Peoples Temple non stava morendo, stava solo ‘salendo ad un livello superiore’ ... " . Mentre la gente moriva davvero e i bambini bevevano il veleno, reintroduce anche l’idea del miracolo e afferma che "... la morte non è che un breve sonno ...un breve riposo ..." e la voce di un uomo afferma "... è bello, non è mai stato così bello. Lasciate che ve lo dica: noi non ci siamo mai sentiti così bene come ci si sente allora! (Pianti/interruzione della registrazione)" (Pozzi, Nesci, Bersani, 1988). Grazie al suicidio collettivo il Peoples Temple avrebbe abbandonato la sua "vecchia pelle" e "si sarebbe definitivamente purificato: niente più individui, niente più ambivalenze, niente più limiti, ‘niente più dolore’ (Pozzi, Nesci, Bersani, 1988)...".
Per rispettare la volontà di Jonestown e il suo desiderio di "parlare" vorrei concludere lasciandogli l’ultima "parola", quella scritta sul pavilion della Comune e immortalata in una immagine, ormai passata alla storia, che dice :
" Quelli che non ricordano il loro passato sono condannati a ripeterlo’ (Peoples Temple, documento non datato n. 11)".
La mia impressione è che questo monito ci insegua tenacemente e ci tormenti continuamente da quel 18 Novembre 1978 e in ogni successiva "Notte Bianca", dimenticata e rimossa come la prima.
Tutte le citazioni sono tratte dal libro di Domenico Arturo Nesci, La Notte Bianca, Armando Editore, Roma, 1991.
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