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Recensione di Mario Aletti pubblicata su Teologia. Rivista della Facoltà Teologica di Milano, n. 3 del 2005.

Ralph W. HOOD, Jr., Peter C. HILL, & W. Paul WILLIAMSON, The Psychology of Religious Fundamentalism, The Guilford Press, New York – London, 2005, pp. 247



La recensione del Prof. Aletti mette in luce alcune carenze del modello proposto dagli autori per spiegare il Fondamentalismo. Il Volume M. Aletti & G. Rossi (Eds.), (2004). Identità religiosa, pluralismo, fondamentalismo, Torino: Centro Scientifico Editore, si caratterizza indubbiamente per una maggior completezza ed integrazione di approcci e per una più ampia indicazione delle caratteristiche del fondamentalismo. Il volume, che raccoglie gli Atti del nono Convegno Internazionale della SIPR (Società Italiana di Psicologia della Religione) “Identità religiosa, pluralismo, fondamentalismi”, tenutosi a Torino dal 18 al 20 ottobre 2002, sicuramente, per questi motivi, è meritevole di considerazione internazionale.

Raccomando dunque a tutti gli interessati la lettura di una Recensione di questo volume pubblicata sulla Rivista di Scienze dell'Educazione della Facoltà "Auxilium" di Roma e sul Notiziario della SIPR Psicologia della Religione News.


 

Non mancano, specie nella letteratura anglo-americana, le trattazioni sul fondamentalismo; tra esse la più importante, vasta ed approfondita è quella che trova espressione nei cinque volumi del The Fundamentalism Project curati, per conto dell’American Academy of Arts and Sciences, da Martin E. Marty e R. Scott Appleby. Ma anche in questa imponente pubblicazione, non meno che nelle altre, è evidente la carenza o la debolezza dell’approccio psicologico. Ciò spiega l’attesa sorta intorno a questo nuovo volume, da anni annunciato, interamente dedicato alla psicologia del fondamentalismo religioso, frutto del lavoro di riflessione e ricerca di tre specialisti. L’opera, in effetti, promette un buon passo avanti nella comprensione psicologica del fenomeno, non solo per le tesi originali che presenta, ma anche per la discussione che è destinata ad aprire tra gli studiosi.

Si presenta con una strutturazione compatta e coerente, che prospetta un nuovo modello teorico interpretativo e successivamente ne verifica la tenuta nella descrizione interpretativa di denominazioni e gruppi religiosi “fondamentalisti”. Così, mentre i primi due capitoli presentano un modello di lettura del fondamentalismo religioso come una risposta alla ricerca di significato esistenziale caratterizzata dall’essere rigorosamente ancorata al Testo sacro e alla sua interpretazione “intratestuale”, i saggi successivi sono dedicati all’influenza del fondamentalismo, così inteso, nella storia del Protestantesimo a partire dall’Ottocento e all’interno di specifiche. denominazioni protestanti nord-americane: la Church of God (of Prophecy), le sette dei “manipolatori di serpenti”, la comunità separatista e rurale degli Amish. Un ulteriore capitolo è dedicato ad alcune recenti manifestazioni del fondamentalismo islamico, mentre l’ultimo ritorna alle premesse teoriche e discute alcuni “stereotipi” sul fondamentalismo che sarebbero presenti anche nella letteratura specialistica.

Come si accennava, il volume trova una sua centralità logica e metodologica nella rivisitazione del concetto di fondamentalismo religioso, attraverso la proposta di un “nuovo modello”. L’assunto che fa da sfondo al modello è che il fondamentalismo sia una risposta complessiva ad una ricerca di senso per l’esistenza. La religione fondamentalista offrirebbe una unificante e rassicurante filosofia di vita, all’interno della quale sono coinvolte e soddisfatte le domande di significato e di realizzazione personale. (p. 15). Essa indica finalità e valori, procura un senso di unità, di integrazione e di progettualità per la personalità, apre prospettive totalizzanti e di trascendenza dei limiti della vita terrena…e fa tutto questo in maniera chiara, accessibile ed indubitabile, sottratta al confronto critico e ad ogni argomentazione in contrario. Quest’ultima caratteristica è il punto qualificante del modello, che individua, come condizione necessaria e sufficiente perché si possa qualificare una religione come fondamentalista, la dinamica dell’intratestualità. Per il fondamentalista è assiomatico che esista una verità obbiettiva, rivelata, trasmessa e adeguatamente preservata nel Testo sacro. La sacralità del testo è sostenuta e confermata da un rigido principio di intratestualità: il testo contiene sia la rivelazione sia la sua giustificazione ed interpretazione: si commenta e si giustifica in se stesso, attraverso una rete di rimandi interni e speculari. Inoltre - osservano gli autori - Il Testo è la verità e insieme fonte e misura di ogni altra verità. Il principio di intratestualità comporta che non siano ammesse fonti e misure esterne della bontà e verità del Testo. Questo intreccio (per cui sembrerebbe più adeguato il termine di testualità-intratestualità) si contrapporrebbe al modello “intertestuale” che caratterizza la modernità (e che sarebbe ciò cui il fondamentalismo primariamente si oppone). Secondo il modello intertestuale nessun singolo testo (fonte di conoscenza) può giustificare da se stesso la propria pretesa di verità; tutti i testi e fonti di conoscenza devono essere correlati e discussi tra loro e assumono la loro autorevolezza come risultato del confronto critico. E la verità, compresa quella cui è inteso il Testo sacro, non è un dato rivelato ed immutabile, ma è piuttosto un costrutto, contingente, in divenire, risultante dalle interrelazioni tra diverse fonti e strumenti di conoscenza.

Nell’esaminare il fondamentalismo di alcuni gruppi o denominazioni religiose, gli autori applicano il loro modello schematico, evidenziando come la lettura fondamentalista del testo sacro possa rispondere a una domanda globale di significato esistenziale, sia pure in differenti modi, a seconda dei contesti religiosi e secolari in cui il fondamentalismo si radica e a seconda delle diverse accentuazioni dei brani filtrati attraverso la lettura intratestuale; e questo spiega perché esista, non un unico fondamentalismo, ma una varietà di religioni fondamentaliste. Ciò che però sarebbe comune a tutti i casi studiati dagli autori è il fatto che la religione può servire da punto centrale per la costruzione di una visione del mondo che risponda ai bisogni di significato del gruppo religioso, nella particolare situazione storico-culturale. Questo è verificato con riferimento ai gruppi religiosi fondamentalisti protestanti (in particolare l’Evangelicalismo), al gruppo Pentecostale della Church of God (of Prophecy), ed anche alla comunità degli anabattisti Amish, che per tanti aspetti (separazione dalla società circostante, rinuncia al proselitismo e ad ogni atteggiamento militante) non risponde ad alcune caratteristiche comunemente riferite dagli studiosi all’atteggiamento fondamentalista. Anche il capitolo dedicato al fondamentalismo islamico è intenzionalmente limitato a dimostrare, traendo spunto da fatti di cronaca recente, che, anche secondo l’Islam, nessuna spiegazione od illuminazione della verità può derivare dall’esterno del Testo, in coerenza con il modello di intratestualità.

L’esempio più significativo dell’orizzonte di pensiero e dell’impostazione argomentativa del volume può essere colto nella scelta di presentare anche le sette, numericamente ristrette, oltre che marginali ed oltranziste, dei “Manipolatori di serpenti”. (In realtà, la pratica della contemplazione e manipolazione di serpenti velenosi, già praticata all’interno della Church of God, oggi persiste solo presso le setteHoliness dei Monti Appalachi). Gli autori mostrano come taluni comportamenti (che possono risultare autolesionistici) apparentemente eccentrici ed irragionevoli; siano in realtà il frutto coerente di una lettura intratestuale (“fondamentalista”) di alcuni passi biblici, in particolare di Marco 16, sui “segni” che accompagneranno i veri credenti. “E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove prenderanno in mano i serpenti e, se berrano qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc. 16,17-18). I manipolatori di serpenti nel conferire un significato religioso-esistenziale alla loro specifica esperienza, accentuano un particolare “segno” sopra tutti gli altri (che, invece, sono condivisi con altre comunità e denominazioni religiose). Essi traggono dalla lettura del testo sacro il conforto di una serie di illuminazioni assunte come verità religiose reali ed indubitabili, riferibili ad uno specifico, elitario, mandato biblico di maneggiare serpenti velenosi, al potere sovrannaturale conferito agli eletti con questo “carisma”, ad un’indicazione distintiva e profetica dei veri credenti e della loro predestinazione, ma anche all’accettazione del fatto che il vero credente deve essere disposto non solo a vivere, ma anche a morire (in casi documentati anche rifiutando di curarsi con l’antidoto) basandosi sulla parola di Dio.

Con questo esempio particolarissimo, all’interno della loro rassegna di diverse denominazioni e gruppi religiosi, gli autori intendono evidenziare che la lettura fondamentalista (intratestuale) del testo non comporta una uniformità di contenuti dottrinali e di comportamenti. I movimenti e i gruppi sono orientati, dal contesto socioculturale e dalla loro storia, a cercare risposte significative e verità assolute nel testo; ma l’urgenza della domanda ed il contesto in cui sorge, possono variare il contenuto della risposta, anche se il suo livello formale è uniformemente caratterizzato dal fondamentalismo (intratestualità).

Il volume presenta caratteristiche di novità e di originalità tali da fare avanzare il dibattito sulla psicologia del fondamentalismo religioso. Ma, per più motivi, c’è da augurarsi che apra una discussione franca e critica tra gli studiosi, molti dei quali stenteranno a ritrovarsi in taluni aspetti dell’impostazione e in alcune posizioni polemiche nei confronti della letteratura precedente. Il lavoro si propone come un tentativo originale di comprendere le ragioni del fondamentalismo, attraverso la prospettiva dei fondamentalisti stessi (in realtà, dall’interno delle religioni fondamentaliste, vista la scarsa attenzione alla singola personalità del credente). E’un approccio simpatetico, in cui gli autori sono facilitati sia da loro precedenti esperienze e militanze religiose in taluni dei gruppi studiati, sia da una loro refrattarietà rispetto al pensiero “postmoderno”: “Se i fondamentalisti sono accusati di non evitare la Scilla del letteralismo (che abbiamo mostrato essere una falsa accusa) essi sicuramente evitano la Cariddi dell’estrema pretesa del Postmoderno, per la quale un testo tende a che le parole non abbiano più un proprio significato” (pag. 209).

L’opera aiuta a rifiutare alcuni stereotipi sul fondamentalismo. A volte confermando acquisizioni già note nella letteratura recente: che il fenomeno sia una religione o che sia tipico di una sola religione, che sia ristretto all’ambito protestante americano, che sia identificabile con il letteralismo testuale... Meno facilmente condivisibile appare la denuncia come “stereotipi” di altre caratteristiche del fondamentalismo, comunemente riconosciute in letteratura: che il fondamentalismo sia dogmatico, che sia militante, che sia un fenomeno non-moderno o contrario alle forme del pensiero moderno e al suo “spirito secolare”.

Alla trattazione non manca la coerenza interna e la chiarezza dell’impostazione, cui contribuiscono la frequente riproposizione della tesi e del modello e l’uso delle conclusioni riassuntive alla fine dei capitoli (appesantimento ‘scolastico’ che pare pressoché inevitabile nella manualistica nordamericana). Nell’impostazione tuttavia, si ravvisano, come si accennava, anche ragioni di perplessità. In particolare, la scelta di un unico parametro (l’intratestualità) su cui misurare il fondamentalismo appare restrittiva e schematica. Per fare solo un esempio, forse potrebbe essere illuminante allargare la categoria della “autoreferenzialità”, oltre l’ambito della interpretazione del Testo (intratestualità) alle forme della struttura organizzativa del gruppo e della relazione tra il gruppo e la società circostante. Più ancora, tale autoreferenzialità potrebbe essere una categoria utilmente applicata allo studio della personalità e dell’identità del credente fondamentalista, della sua strutturazione e dei suoi processi.

E si tocca qui un altro punto nodale e critico del volume. Certamente, la prospettiva che gli autori hanno inteso adottare è quella di una psicologia sociale, in continuità con una scelta che Ralph. Hood Jr. e i suoi collaboratori privilegiano da tempo (ne è un esempio il manuale, per altro ottimo, di Hood, Spilka, Hunsberger e Gorsuch Psicologia della religione. Prospettive psicosociali ed empiriche edito dal Centro Scientifico di Torino). Ma la prospettiva scivola a volte dalla psicologia sociale ad una mera osservazione sociologica della “ermeneutica teologica” dei gruppi studiati. Fino al rischio di una lettura solo parzialmente psicologica seguendo, in questo, l’andamento di tanta psicologia accademica (americana, ma anche di casa nostra) nello slittamento dalla psicologia (sociale) alla sociologia, e da questa alla mera indagine demoscopica, oppure alla riflessione antropologica. Soprattutto, pesa la mancanza, nel volume, della prospettiva psicodinamica e clinica. Che esiterebbe, correttamente, ad uno studio dei soggetti, non delle denominazioni religiose. Certo, lo studio del fondamentalismo richiede necessariamente dei parametri culturali, sociali ed anche teologici (che cosa è fondamentalismo rispetto al non-fondamentalismo, come si differenzia l’utilizzo fondamentalistico della religione, rispetto all’uso ortodosso e ‘mediano’…).

Ma la psicologia è interessata precipuamente all’impatto del fondamentalismo con la struttura della personalità e al suo interagire con altre caratteristiche e processi del soggetto psichico. E così, da una trattazione psicologica sul fondamentalismo ci si aspetterebbe, sullo sfondo di un esame del funzionamento psichico nei confronti delle proposte delle religioni, un’analisi dei processi psichici attraverso il quale uno diventa fondamentalista, o usa di una religione in modo fondamentalista. Ciò varrebbe anche a rispondere all’interrogativo basilare: è il fondamentalismo un atteggiamento mentale (come, per esempio, Rokeach ha mostrato per il dogmatismo) che investe anche la condotta religiosa o, al contrario, le religioni (o alcune di esse) sostengono e stimolano un atteggiamento fondamentalista? La seconda ipotesi è, in realtà, quella assunta come tesi dagli autori. La stessa scelta di incentrare l’attenzione su sette religiose “speciali” e “straordinarie” e di limitarsi all’ambito culturale nord-americano, rivela un’opzione (una pre-comprensione) che tende a considerare il fondamentalismo come un fenomeno di contenuti dottrinali piuttosto che un atteggiamento mentale delle persone (e, come tale, ipoteticamente riscontrabile presso tutte le religioni considerate “normali”). Su queste questioni (che non si esauriscono certo nella proposizione in forma dilemmatica che ne abbiamo fatto) molto spazio rimane ancora aperto per la ricerca psicologica sul campo che, fortunatamente, comincia ad essere più attenta ed incisiva, ora anche in Italia.

Identità religiosa, pluralismo, fondamentalismo