Conferenza ISKCON 2016: un esempio di buone pratiche
Di Raffaella Di Marzio
*Si ringrazia Parabhakti per gli utili suggerimenti
Firenze, Villa Vrindavana, 21-22 Maggio 2016
La questione relativa alla natura della conversione religiosa, e conseguente affiliazione a gruppi spirituali e Nuovi Movimenti Religiosi, è stata ed è ancora oggetto di dibattiti e controversie incentrate sulla qualità e intensità dell’influenza psicologica esercitata, durante la fase del proselitismo, sul possibile convertito, al fine di ottenere la sua conversione e adesione.
Su questo tema esistono molte pubblicazioni, la stragrande maggioranza delle quali, sia in ambito sociologico che psicologico, concorda sul fatto che, in generale, la conversione/affiliazione a un movimento sia frutto di una scelta consapevole dell’individuo, la cui libertà, certamente condizionata come in qualsiasi ambito dell’esistenza umana, non risulta necessariamente coartata. Questo orientamento generale non esclude, naturalmente, le eccezioni, che pure esistono.
Il movimento degli Hare Krishna, nel recente corso organizzato dal Dipartimento europeo della Comunicazione (ISKCON Communications Europe), si è interrogato su questo tema, coinvolgendo anche esperti del settore, tra i quali chi scrive.
L’ICE (ISKCON Communications Europe) organizza iniziative di tipo educativo, produce letteratura per gli studiosi, promuove il dialogo interreligioso, individua strategie utili a rispondere all’attivismo antisette. Il Dipartimento, grazie alle sue attività formative e informative, ha favorito molti cambiamenti nella gestione interna del movimento.
L’incontro a Villa Vrindavana aveva anche la finalità di migliorare le strategie di predicazione e i rapporti interpersonali focalizzando la formazione sull’identità morale e religiosa e i principi fondamentali della fede.
Nel mio contributo, intitolato Cult Watching Perspective and Freedom of Religion - Balance of twenty years’ experience, (SCARICA LE SLIDE) ho cercato di comunicare ai circa 50 rappresentanti dell’organizzazione provenienti da diversi Paesi, quanto ho potuto acquisire in oltre venti anni di esperienza e studio nel settore.
Una delle opportunità più arricchenti, da cui ho potuto apprendere molto, in diverse occasioni, è la possibilità di ascoltare le testimonianze di persone uscite da qualche gruppo, disilluse o traumatizzate, e di altre, appartenenti al medesimo gruppo, affiliate e soddisfatte della loro esperienza. Ho avuto anche la possibilità di ascoltare genitori preoccupati per i loro figli convertiti a un gruppo religioso che essi consideravano una setta pericolosa, e il punto di vista di quei giovani, soddisfatti della loro esperienza religiosa e dispiaciuti per l’atteggiamento ostile dei genitori verso la loro scelta e la loro comunità.
Ho potuto anche ascoltare i leaders di qualche movimento fare il resoconto dei numerosi tentativi, falliti, di contattare esponenti di gruppi antisette per protestare sulle informazioni diffuse su di loro dai media, o su pubblicazioni realizzate sulla base delle informazioni fornite solo da ex-membri ostili, e giunte ai media grazie all’attivismo antisettario che propone, del fenomeno, una visione essenzialmente criminologica.
Queste, e altre esperienze concrete, sono state oggetto della mia relazione, insieme alla questione della cosiddetta “manipolazione mentale” che sarebbe, secondo una certa vulgata, alla base di molte conversioni religiose. A proposito di questo aspetto, ho manifestato la mia perplessità poiché ritengo impossibile comprendere un fenomeno, come quello della conversione e affiliazione, semplificandolo eccessivamente. La scelta religiosa, infatti, è un processo dinamico e complesso influenzato da numerosissimi fattori: attribuirlo a un’unica causa significa ragionare in modo semplicistico, una prospettiva quanto mai pericolosa, se condivisa da chi dovrebbe aiutare le famiglie e gli ex-membri a superare i conflitti causati dall'affiliazione non gradita di un parente oppure dalla fuoriuscita di un membro.
Ho cercato di mettere in evidenza tutti i pericoli di una simile prospettiva per la libertà religiosa delle minoranze, a cominciare dall’uso della parola “setta”, uno stigma che continua a mietere vittime ovunque, per finire con i continui tentativi, da parte degli Stati, di istituire forze di polizia ad hoc contro le “sette” e creare leggi repressive contro la “manipolazione mentale”.
Mi sono, inoltre, occupata di illustrare il processo di conversione e affiliazione come risultato di molti fattori, su uno dei quali mi sono soffermata in particolare, quello della relazione interpersonale (incontro) tra missionario e potenziale convertito, poiché la richiesta dei responsabili di ISKCON che mi hanno invitata era proprio quella di approfondire questo aspetto e comprenderne i possibili esiti. In questa parte della mia relazione mi sono soffermata sul contributo che la psicologia della religione ha dato, e può ancora dare, dal punto di vista scientifico. A questo scopo ho citato gli studi di Lewis Rambo, sul processo di conversione e i suoi diversi stadi.
Ho indicato, infine, dal punto di vista operativo, tre punti cardine a mio avviso utili per affrontare le problematiche relative al rapporto tra influenza indebita e libertà religiosa: la prevenzione, lo studio accurato del fenomeno e la mediazione tra le diverse parti in conflitto.
Shaunaka Rsi Das, l’altro relatore della sessione, moderata da Anuttama Das, ha individuato alcuni principi fondamentali nel modo di comunicare la fede e ha dato indicazioni su quale dovrebbe essere l’atteggiamento da assumere per non rischiare di attuare forme di proselitismo poco rispettose del potenziale convertito o del neofita.
Nella discussione con Shaunaka Rsi Das, ho chiesto di approfondire, in particolare, uno dei principi fondamentali che egli aveva illustrato, quello dell’umiltà, una virtù che riveste grande importanza anche nel cristianesimo.
Mi è parso, infatti, che l’atteggiamento di umiltà, da parte del missionario, possa essere una forma di prevenzione verso qualsiasi forma di influenza indebita. Infatti, se chi fa proselitismo non si sente superiore, non ritiene di avere potere sull’altro e si limita ad annunciare e dare testimonianza della propria fede, lasciando a Dio (o a Krishna) il compito di convertire coloro che aderiscono al messaggio in piena libertà, il problema dell’influenza indebita e dell’abuso si evita alla radice.
Come ho avuto modo di ribadire nel corso del dibattito, questa considerazione mi sembra molto importante poiché, come la ricerca in psicologia della religione ha abbondantemente dimostrato, la fase dell’incontro tra missionario e potenziale convertito si caratterizza come interrelazione tra le due parti, in cui l’una ha bisogno dell’altra: come il potenziale convertito ha bisogno del missionario e cerca, nel suo messaggio, la risposta alle sue domande esistenziali, quest’ultimo trova, nel potenziale convertito, una persona con cui entrare in relazione con atteggiamento oblativo, per invitarlo a condividere valori e credenze che ritiene gratificanti, con il vantaggio di sentirsi realizzato e utile per gli altri, in quanto testimone di una fede condivisa.
Comprendere questa dinamica relazionale di tipo psicologico è a mio avviso indispensabile per chiunque sia impegnato nell’opera di predicazione al fine di acquisire altri membri per il proprio movimento, nella convinzione che esso possa davvero dare loro ciò di cui hanno bisogno, come, per esempio, la felicità in questa o in un’altra vita, una missione da compiere, un significato alla propria esistenza, ecc.
I rappresentanti degli Hare Krishna, provenienti da diverse parti del mondo, hanno dato vita a un interessante dibattito. Alcuni dei più anziani hanno ripercorso i decenni passati, quando il loro movimento era definito una “setta”, riconoscendo che al suo interno si erano effettivamente verificati degli abusi, errori dai quali hanno imparato molto e che ormai da molto tempo stanno cercando di prevenire con regole più stringenti e una maggiore vigilanza sulle loro comunità.
Nel corso del dibattito ho messo in evidenza, su sollecitazione di alcuni partecipanti, come, in una società in cui il terrorismo miete continuamente vittime, appellandosi alla religione come giustificazione, è importante non farsi trascinare dall’onda della stigmatizzazione che genera panico morale condizionando l’opinione pubblica ad assumere atteggiamenti ostili verso le minoranze religiose, non solo quelle islamiche. Questa forma di disinformazione mediatica è promossa da agenzie informative e forze politiche, che, grazie al supporto dei media, perseguono scopi diversi da quelli del bene comune.
Una delle domande che mi è stata rivolta dai partecipanti è: "Cosa possiamo fare noi Hare Krishna per aiutare la società a combattere il terrorismo?" Ho risposto che, a mio avviso, il contributo che un Hare Krishna può dare alla società è quello, appunto, di essere un buon Hare Krishna, poichè i principi morali illustrati nel corso della sessione, che ogni fedele è tenuto ad osservare, sono principi fondamentali ampiamente condivisibili, al fine di promuovere la convivenza e la pace tra i popoli, indipendentemente dalla religione di appartenenza.
Un’altra domanda che mi è stata rivolta è come prevenire eventuali forme di influenza indebita all’interno della comunità, una domanda che avrebbe richiesto alcune ore per una risposta. Ho potuto dare un solo suggerimento, che non è sicuramente sufficiente, ma si riferisce ad alcuni casi emblematici che ho potuto osservare nel corso degli anni: l’approccio al neofita, o alla persona che si avvicina alla comunità, va attentamente valutato poichè ci sono persone che cercano al suo interno la soluzione di problemi personali che hanno altre cause, legate al loro passato, problemi mai risolti che l’individuo pensa di poter eliminare grazie all’affiliazione, la pratica rituale, la vita comunitaria, lo studio delle scritture ecc.
Nella mia esperienza ho potuto verificare che ci sono persone che cercano attivamente una “setta”, cioè un gruppo in cui possano rifugiarsi per essere guidati e protetti, evitando così di andare alla radice dei loro problemi. Queste persone, prima o poi, non trovando la soluzione a problemi che hanno radici altrove, lasceranno il movimento disilluse e alcune di esse potrebbero trasformarsi in nemici del gruppo che hanno lasciato, sul quale potrebbero riversare tutto l’astio che, in realtà, provano verso se stessi.
E’ importante, quindi, che l’accesso alla comunità sia graduale, che sia continuamente valutato e che, in caso si evidenzino problematiche difficili da gestire, si dissuada la persona dall’entrare stabilmente nella comunità, pur lasciandola pienamente libera di frequentarla, se questo per lei è comunque un’esperienza positiva.
Al termine di questa esperienza di “buone pratiche”, presso Villa Vrindavana, posso fare una riflessione finale su quanto ho appreso, ancora una volta, grazie alla condivisione di tempi e spazi, propri di gruppi religiosi e spirituali, condividendo, come osservatrice, la loro quotidianità e la loro particolare esperienza religiosa.
Il problema dell’influenza indebita, che certamente talvolta si verifica anche nei Nuovi Movimenti Religiosi, come in tutti i gruppi sociali, non si risolve ghettizzando intere comunità e suscitando falsi allarmi sociali. Una strategia utile ed efficacie è, invece, quella di studiare in modo approfondito ed entrare in contatto con quei gruppi che sono disponibili (nella mia esperienza la maggioranza), mettendosi in ascolto delle persone per verificare quanto effettivamente si conosce del movimento.
Tale conoscenza è indispensabile per il passo successivo, quello di cercare, nella dottrina e nelle norme etiche del movimento, quei principi fondamentali che, se osservati, possono essere una forma di prevenzione effettiva delle forme di persuasione indebita. Utilizzare il linguaggio proprio del movimento e fare leva sulla sua dottrina e sui valori che promuove non crea alcuna resistenza, anzi, genera una specie di “sollievo” nei responsabili e nei membri incaricati di formare i più giovani, poiché a queste persone non viene richiesto di fare qualcosa di straordinario, e la loro azione non viene sottoposta a “sorveglianza” sotto minaccia di “indagini penali”.
Il movimento degli Hare Krishna, in Italia e in Europa, ha avuto sicuramente meno problemi che negli Stati Uniti (con l’eccezione della Francia), dove essi furono generalmente la conseguenza dello straripante entusiasmo dei giovanissimi membri cui mancava esperienza e che, in alcuni casi, non avevano ancora pienamente abbandonato il vecchio stile di vita dal quale provenivano. Il movimento si stava diffondendo rapidamente (cosa che continua a fare tutt’oggi, in particolare nei paesi dell’ex blocco comunista e in India/Asia) ma ai leaders, come alla maggior parte dei membri, mancava la maturità e anche l’adeguata comprensione filosofica e assimilazione dei millenari principi e valori della tradizione vaishnava e della cultura vedica veicolata dal movimento Hare Krishna. Grazie a questa millenaria tradizione, il movimento, nella maggior parte dei Paesi del mondo, non ha subito alcuna stigmatizzazione, anzi è stato pienamente accettato. Pur godendo, attualmente, nel nostro Paese, di un ampio consenso, gli Hare Krishna, come altri gruppi, di tanto in tanto vengono presi di mira dai media, con le stesse modalità utilizzate contro qualsiasi esperienza difforme dalla "norma" o dal sistema consumistico.
Prendendo in considerazione, in generale, quei Nuovi Movimenti Religiosi che, in passato, hanno sofferto molto a causa dei loro stessi errori e che sono stati sottoposti a processi e a gogne mediatiche di varia intensità, la sensazione che qualcuno si rivolga a loro come a persone degne di rispetto, nonostante qualcuno in passato abbia sbagliato, fornisce quell’indispensabile motivazione a fare meglio di quanto si è fatto prima, poiché non si tratta di obbedire a una legge esterna, o di agire solo per evitare una punizione, quanto piuttosto agire sulla base dei principi in cui si crede. Grazie a questa strategia è anche possibile identificare, per tempo, quelle criticità che si manifestano in alcuni membri, che possono essere risolte in vari modi, anche con l’allontanamento di qualche individuo che nel movimento non cerca il nutrimento spirituale, ma solo il soddisfacimento del proprio bisogno di essere adepto passivo o leader autoritario.
La sensazione che ho provato in diverse occasioni, quando ho visitato comunità spirituali che hanno sperimentato persecuzioni e processi sommari orchestrati ad arte, è quella di trovarmi di fronte a persone sulle quali sembra incombere perennemente una “Spada di Damocle”. Indipendentemente dal fatto che le accuse contro il movimento siano state fondate o meno, e indipendentemente dal fatto che le indagini e i processi si siano conclusi con assoluzioni o condanne, anche a distanza di anni dai fatti, queste persone vivono nello stato d’animo di chi ha portato una lettera scarlatta, o una stella di Davide, o un marchio d’infamia e si sentono come se un errore fatto da uno di loro valesse mille volte di più dello stesso errore commesso da una persona “normale”.
Credo che la prima cosa che abbiamo il dovere di restituire a queste persone è il rispetto per la loro dignità di esseri umani, che va riconosciuta senza condizioni. Questo è il primo passo per il progresso di queste comunità, ma anche della società, verso una convivenza davvero pacifica e rispettosa delle diversità.
L’esperienza a Villa Vrindavana è un esempio di buone pratiche che dovrebbe essere imitato anche da altri movimenti, specialmente se anche loro hanno vissuto esperienze negative nel passato e sono stati accusati di manipolare i loro membri.
Comunicazione, formazione, educazione e valori sono la prevenzione e/o la cura per qualsiasi forma di influenza indebita, una “medicina” rispettosa della persona ed efficace, anche se i risultati si vedono solo con il tempo e la perseveranza. Il vantaggio è che questo tipo di “medicina”, rispettosa delle persone, non ha gli “effetti collaterali” gravissimi, più volte osservati, di altri rimedi del tutto inappropriati, come la violazione dei diritti umani delle minoranze religiose, la persecuzione di intere comunità del tutto pacifiche e la creazione di leggi liberticide.
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