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Articolo di Raffaella Di Marzio.

Pubblicato in Psicologia della Religione - news, Notiziario della Società Italiana di Psicologia della Religione, Anno 8, n.1, Gennaio-Aprile 2003

 

Il rogo di Kanungu

 

Il 17 marzo 2000 a Kanungu, un villaggio a 217 miglia a sud-ovest della capitale ugandese Kampala, circa cinquecento persone appartenenti al Movimento "Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio", prigioniere di una chiesa con porte e finestre inchiodate per impedire ogni via di fuga, morivano fra le fiamme. 

Quello di Kanungu, che inizialmente è stato definito un suicidio collettivo, oggi appare essere con ogni evidenza un assassinio senza precedenti organizzato dai leaders del movimento. Le cause di quel massacro sono state accertate solo in parte, come risulta dal Rapporto della Commissione ugandese per i Diritti umani pubblicato nel 2002. 

La scoperta, nei giorni successivi all'incendio, di alcune fosse comuni colme di cadaveri disseminate qua e là in quella regione ha fatto salire a oltre mille il numero delle vittime legate alla setta ugandese. Ancora oggi è incerta la sorte dei tre leaders più importanti del movimento: il vescovo Joseph Kibwetere, l'ex prostituta Credonia Mwerinde, il sacerdote cattolico sospeso a divinis Dominic Kataribabo.

 

Un movimento cattolico “di frangia”

In Uganda, dove la metà della popolazione è cattolica romana, sono presenti molti movimenti ai margini del cattolicesimo. Alla fine degli anni 80 il Paese lentamente riemergeva da una lunga dittatura e da una sanguinosa guerra civile: in quella atmosfera molti cominciarono a testimoniare di visioni e apparizioni mariane.

Tra questi veggenti c’erano anche quelli che avrebbero fondato il movimento “Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio” (Restoration of the Ten Commandments of God, RTCG), uno di quei gruppi separati dalla Chiesa cattolica che si sono formati attorno ad apparizioni/visioni non riconosciute e che includono dottrine apocalittiche. 

Il problema che nasce di fronte al tragico esito di questo movimento, è legato non al contenuto dei messaggi, quanto al modo in cui gli adepti del movimento “Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio” lo hanno vissuto portandolo fino alle estreme conseguenze. Nei messaggi veicolati dalle apparizioni mariane compaiono molto spesso minacce di castighi, esortazioni alla penitenza e previsioni della fine imminente, ma questi contenuti sono interpretati e vissuti dai fedeli attraverso forme di religiosità individuale e collettiva che non hanno le caratteristiche fortemente settarie proprie del movimento di Kanungu. 

 

Kanungu fa più vittime di Jonestown

Il percorso della setta ugandese presenta molte analogie con quello di altre sette che si sono rese protagoniste di suicidi/omicidi di massa, a partire da quello avvenuto nel “Tempio del Popolo” (1978) fino a “Heaven’s Gate”(1997). Il modello a cui tutti questi gruppi appartengono è quello settario di stampo salvazionista in cui la morte non è vista come la fine di tutto, ma, al contrario, l’inizio di un tempo migliore.

Analogamente ai gruppi citati, anche nel movimento “Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio”, i leaders della setta usavano i più sottili e criminali metodi di oppressione al fine di conservare a tutti i costi l’unità del gruppo e impedire che i membri lo lasciassero. L’indottrinamento massiccio da loro operato ha accentuato lo spirito settario del movimento, che spingeva gli adepti a separarsi, anche fisicamente, dal mondo. Quest’ultimo era visto come “dimora” tenebrosa di peccatori destinati alla morte eterna, mentre il movimento era l’“Arca” di salvezza, abitata da uomini e donne prescelti da Dio per dare inizio a una Nuova Generazione. 

L’isolamento dal mondo circostante, nel tempo, ha portato gli adepti a perdere il senso della realtà e così la liberazione di satana e la discesa della Gerusalemme celeste - metafore dell’Apocalisse - sono diventati eventi reali che hanno condizionato la vita e la morte di centinaia di persone. La perdita del confine tra simbolo e realtà (che in molti altri movimenti simili a questo per credenze e matrice culturale e religiosa non si è verificata) ha indotto i membri del movimento a credere che la fine del mondo coincidesse con un tempo e un luogo concreti. 

 

Uganda : la Nuova Gerusalemme

Come in molti altri movimenti nati intorno a profeti africani, l’idea di un nuovo mondo e di una nuova era di pace e serenità, si identifica con i membri del movimento (la Nuova Generazione), mentre la Nuova Gerusalemme è il luogo terreno in cui il profeta si manifesta (in questo caso l’Uganda e Kanungu in particolare). La terra ugandese è infatti bisognosa di riscatto e felicità, poiché il presente è tempo di dolore, di crisi esistenziale, la quotidianità è vissuta nella instabilità sociale e culturale, sempre in lotta per la sopravvivenza. 

Un altro elemento presente nel Movimento “Restaurazione dei 10 comandamenti di Dio”, che ci permette di paragonarlo a una categoria di gruppi religiosi nati in ambiente cattolico, è la sua dottrina, piena di esortazioni a tornare all’osservanza religiosa come era alle origini, in particolare, all’osservanza dei 10 comandamenti. Questa esaltazione del passato è comune a molti gruppi - inseriti all’interno della categoria dei movimenti cattolici di frangia - che contestano o rifiutano l’attuale gerarchia cattolica accusata di eccessiva “modernizzazione”.

Analogamente a quanto accade all’interno di questi gruppi, nel movimento di Kanungu viene messa in discussione l’autorità del vescovo locale e non viene accettato il mancato riconoscimento dell’ origine soprannaturale dei messaggi. Secondo questi fedeli la Chiesa cattolica non svolgeva più la missione per la quale Cristo l’aveva fondata. Il fatto che sacerdoti cattolici fossero continuamente coinvolti in scandali e il flagello dell’AIDS incombesse su tutti, come punizione per quegli scandali, metteva a dura prova la fede di quelle persone e dei sacerdoti che frequentavano le riunioni del movimento. La corruzione del clero e il flagello dell’AIDS furono interpretati come segni premonitori che la fine del mondo era vicina.

Come reagì il gruppo di fronte alla perdita di una autorità spirituale riconosciuta? Anche nel caso di Kanungu, come in altri movimenti simili, la soluzione a questa mancanza di guide spirituali è stata quella di sostituirli con alcuni membri (in questo caso i 12 apostoli), che assumessero tutte le funzioni necessarie a guidare il movimento. P. Kataribabo era il vescovo nel movimento, e ne assumeva tutte le funzioni, compresa quella dell’ordinazione sacerdotale di altri membri. Simili ordinazioni (illecite e invalide per la Chiesa cattolica) sono numerose all’interno del mondo tradizionalista o sedevacantista, formato da gruppi di diverso genere che si riuniscono attorno a sacerdoti o vescovi cattolici scismatici. Sembra che P. Kataribabo sia entrato in contatto con qualcuno di questi movimenti mentre si trovava negli Stati Uniti per completare gli studi. 

 

La crisi e la fine

Le aspirazioni a “restaurare” la chiesa primitiva, comuni a molti movimenti cattolici di frangia nei quali sono presenti dottrine apocalittiche, a un certo punto si sono scontrate con una realtà diversa, in contrasto con quanto il Cielo trasmetteva ai veggenti: il fallimento delle profezie e l’abbandono del movimento da parte di un certo numero di membri sono fattori di crisi che possono portare a epiloghi drammatici come quello del rogo di Kanungu Anche nella setta “Tempio del Popolo”, tristemente famosa per la morte di 918 seguaci, prima del massacro, si erano verificate defezioni importanti e il leader sentiva minacciata la coesione del movimento e la sua autorità. 

Le ragioni della violenza che ha portato al rogo di Kanungu, così come ad altri massacri simili, va comunque ricercata in un complesso di fattori scatenanti che, combinati in un certo modo e inseriti all’interno di un determinato contesto sociale e culturale, portano ai tragici esiti che conosciamo e di cui abbiamo diversi esempi nella storia. 

Nel caso di Kanungu gli elementi da tenere presente per comprendere la morte di centinaia di adepti sono in sintesi:

- il contesto sociale e culturale ugandese, un Paese appena uscito da anni di guerre civili e massacri dove l’AIDS miete quotidianamente centinaia di vittime

- un ambiente da sempre “visionario” per tradizione e cultura nel quale si innesta l’evangelizzazione e il culto mariano diffuso dai missionari

- l’interpretazione letterale e letteralistica di temi apocalittici comuni nelle rivelazioni private cattoliche

- I meccanismi di indottrinamento, controllo sociale e isolamento utilizzati dai leaders per conservare forzatamente la coesione del gruppo

A questi elementi va aggiunto anche il colpevole lassismo di alcuni esponenti dell’autorità locale che, nonostante le ripetute segnalazioni di abitanti di Kanungu e dintorni sulle violazioni dei diritti umani che avvenivano quotidianamente nella setta, non solo non sono intervenuti per tempo, ma hanno facilitato il riconoscimento del movimento come ONG, dando così la possibilità ai leaders di agire indisturbati nella loro opera di proselitismo . Simili atteggiamenti omissivi, da parte delle autorità civili, sono stati segnalati in quasi tutti i precedenti episodi di suicidi/omicidi di massa, e rivestono un ruolo importante nella genesi e nell’epilogo di tragedie come quella avvenuta a Kanungu.


 

Questo articolo è tratto dalla Tesi di Laurea in Scienze Storico-Religiose di Raffaella Di Marzio: “Kanungu: l’Apocalissi Ugandese”. Università La Sapienza, Roma, Marzo 2003