DON CANTINI
Tratto da novefirenze.it
16 febbraio 2012
A Fiesole (Firenze), nel convento dei frati francescani, si è spenta la triste storia terrena dell'ex parroco Lelio Cantini, sacerdote ridotto allo stato laicale nel 2008 dopo essere stato riconosciuto colpevole di "abuso plurimo e aggravato nei confronti di minori" da parte della Congregazione per la dottrina della fede.
I reati sono stati denunciati quando erano già prescritti e dunque non si è potuto procedere all'iter processuale pervenendo così all'archiviazione su richiesta dei pm fiorentini. Don Lelio Cantini, è stato parroco della chiesa della Regina della Pace di Rifredi.
"Abusi sessuali ai danni di bambini dai 10 ai 17 anni perpetrati per circa 20 anni" - questo scriveva il pm fiorentino Paolo Canessa nella richiesta di archiviazione dell'inchiesta, poi accolta dal gip.
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Antonelli, arcivescovo di Firenze, diffuso nella serata di sabato 14 aprile.
14-04-2007 - Caso Don Cantini, intervento del card. Antonelli
Sulle vicende riguardanti un sacerdote fiorentino oggi 84enne, don Lelio Cantini, riconosciuto colpevole in un processo penale amministrativo canonico (cioè della Chiesa) di "delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze... misfatti oggettivamente gravi che meritano riprovazione e condanna e che fanno soffrire prima di tutto le vittime, ma con loro anche la Chiesa e il Vescovo", pubblichiamo il testo integrale dell'intervento del card. Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, diffuso nella serata di sabato 14 aprile.
Nel clamore mediatico esploso intorno alla vicenda di don Lelio Cantini finora ho taciuto, non perché volessi nascondere qualcosa, ma perché, prima di parlare, volevo confrontarmi e consigliarmi con alcuni autorevoli Sacerdoti, i Vicari Foranei. Avendoli incontrati, rompo il silenzio doverosamente per manifestare la mia posizione all’opinione pubblica e soprattutto ai fedeli che attendono una parola chiarificatrice.
Nell’estate del 2005 mi è pervenuto un dossier di lettere firmate, con accuse di gravi delitti nei confronti di don Lelio. Dopo ponderata valutazione, ho deciso un primo intervento. Ho chiesto e ottenuto la rinuncia scritta all’ufficio di parroco, permettendo a don Lelio di andare ad abitare in una casa isolata a Mucciano nel Mugello, senza alcun incarico pastorale.
Essendo don Lelio ultraottantenne e malato ed essendo i fatti a lui contestati ormai lontani nel tempo e giuridicamente prescritti, ritenevo che questo primo provvedimento, almeno provvisoriamente, avrebbe potuto bastare. Col tempo avrei avuto la possibilità di studiare meglio la situazione di fatto e la stessa normativa giuridica, che non conoscevo abbastanza, dato che questo era il primo caso del genere che mi trovavo a gestire in tanti anni di ministero episcopale.
Dopo qualche mese mi sono reso conto che bisognava affrettare altri provvedimenti. Alcuni degli accusatori mi sono venuti a trovare e altri li ho chiamati io stesso. Ho costatato la loro sofferenza che si era riacutizzata dopo tanti anni. Ho chiesto a don Lelio di andare ad abitare in una casa di accoglienza per sacerdoti. Non avendo lui accettato, gli ho ordinato di lasciare comunque la casa di Mucciano, di proprietà diocesana, e di allontanare la sua collaboratrice domestica. Allora egli si è trasferito a Viareggio in una casa di amici. A titolo cautelare gli ho proibito, fino a nuova disposizione, di celebrare la Messa in pubblico e di confessare.
La Congregazione per la Dottrina della Fede, come spesso avviene nei casi gravi e chiari, ha autorizzato il processo penale amministrativo a norma del canone 1720: notifica delle accuse e delle prove all’accusato con possibilità di difendersi personalmente o tramite avvocato, valutazione accurata da parte del Vescovo, assistito da due assessori, decreto conclusivo.
Don Lelio è stato riconosciuto responsabile di delittuosi abusi sessuali su alcune ragazze negli anni 1973-1987, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze. Sono misfatti oggettivamente gravi che meritano riprovazione e condanna e che fanno soffrire prima di tutto le vittime, ma con loro anche la Chiesa e il Vescovo.
A don Lelio sono state inflitte, a norma del canone 1336§1, le seguenti pene per la durata di cinque anni: privazione della facoltà di confessare, proibizione di celebrare la Santa Messa in pubblico, proibizione di celebrare altri sacramenti, proibizione di assumere incarichi ecclesiastici. Inoltre sono state aggiunte, a norma del canone 1340§1, le seguenti penitenze: versare per cinque anni un’offerta annuale in denaro a una istituzione caritativa e darne rendiconto al vescovo; recitare ogni giorno per un anno intero il Salmo 51 “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia” oppure le litanie della Madonna. Queste pene e penitenze, come tutta la procedura, sono state concordate con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Si è tenuto conto dell’età avanzata, 84 anni, e del malfermo stato di salute di don Lelio.
Comprendo che le vittime nella loro sofferenza ritengano la punizione troppo leggera. Ma bisogna tenere presente che la Chiesa deve dare testimonianza alla divina Misericordia e mirare soprattutto al ravvedimento del peccatore e cercare di vincere il male con la forza della mitezza. Don Lelio da parte sua, pur cercando di ridimensionare le sue colpe, ha detto di essere pentito e di essere disposto a chiedere perdono alle persone offese, purché venissero ad incontrarlo singolarmente e non tutte insieme in gruppo. Ultimamente si è convinto anche ad andare in una casa di accoglienza per sacerdoti.
Mi rendo conto che le persone offese sono le prime ad aver diritto alla solidarietà e al sostegno spirituale da parte di tutta la comunità cristiana. Da parte mia sono sempre disponibile al colloquio personale e di gruppo. Comprendo non solo la loro sofferenza, ma anche la loro ira. Purtroppo non posso far sì che il male non sia avvenuto. Posso solo aiutare a superarlo e a guardare avanti. La Chiesa fiorentina, Arcivescovo, Vescovo Ausiliare, Sacerdoti, Diaconi e Cristiani laici, consapevole che don Lelio è un suo figlio e un suo presbitero, si fa carico della iniquità che è stata commessa e vuole vincere il male con il bene, impegnandosi a rafforzare lo spirito di comunione tra tutte le sue componenti e a farsi vicina nella preghiera, specialmente durante la Santa Messa, e nella carità fraterna alle vittime, che pure sono suoi figli e figli profondamente addolorati. Lo stesso don Lelio potrà sempre contare sull’aiuto e sulla vicinanza dei fratelli di fede e di sacerdozio nelle sue necessità spirituali e materiali.
Nella stampa ho letto recriminazioni perché la vicenda non è stata trattata apertamente, in pubblico, fin dall’inizio. Non mi pare che sia questo lo stile evangelico di trattare le persone, per quanto gravi siano i peccati di cui si siano rese responsabili. La procedura seguita risponde in tutto alla prassi stabilita dalla Santa Sede. A parte la notifica delle decisioni all’interessato e alla parte accusatrice, la pubblicazione è prevista solo per il decreto finale e solo nel caso che la vicenda diventi di dominio pubblico. Sul prossimo numero del Bollettino Diocesano il decreto riguardante don Lelio sarà pubblicato. Ma fin d’ora posso annunciare che non conterrà alcun elemento di novità.
Ho trovato nella stampa anche insinuazioni e accuse nei confronti del Vescovo Ausiliare Mons. Claudio Maniago. Chi lo conosce da vicino non può che stimarlo grandemente, così come non si possono non stimare gli altri ottimi sacerdoti usciti dal gruppo che si era formato intorno a don Lelio. L’autenticità della loro vocazione e la piena libertà della loro scelta è garantita dal discernimento e dal lungo cammino formativo compiuto in Seminario ed è testimoniata dalla esemplare fedeltà e dedizione che esprimono nella loro vita e nel loro ministero. Dio scrive dritto anche tra le righe storte. Il Vescovo Claudio come tanti altri ha apprezzato il suo parroco per la sua azione pastorale e ha avuto stima e fiducia verso di lui. Quando ha appreso la drammatica verità, ne ha sofferto profondamente, sebbene la sua sofferenza non si sia manifestata nell’aperta indignazione quanto piuttosto in un senso di misericordia. Quanto poi al ventilato progetto di una Chiesa parallela, chi conosce la fedeltà al Papa e all’Arcivescovo e la dedizione alla Chiesa di Mons. Maniago, dei preti e di molti laici cresciuti nella parrocchia “Regina della Pace” non può che considerarlo al massimo un fantasma, forse balenato nella fervida immaginazione di don Lelio per dare entusiasmo al gruppo, ma non entrato effettivamente nella realtà in modo da destare qualsiasi ragionevole preoccupazione.
Auspico che la vicenda venga considerata da tutti con realismo ed equilibrio e che non si moltiplichino le sofferenze delle persone offese e della Chiesa fiorentina, particolarmente dei tanti sacerdoti che la servono con generosità e limpido amore.
Ennio Card. Antonelli
Arcivescovo di Firenze
Tratto da www.toscanaoggi.it
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Il «caso» del prete fiorentino: sì alla verità, no alle strumentalizzazioni
di Alberto Migone
I fatti che in questi giorni hanno riempito le pagine dei giornali vengono da un passato lontano. Le sofferenze, però, di chi ne fu vittima bruciano ancora e vanno guardate con quel rispetto e affetto che ogni dolore sempre merita. Specie se è del tutto innocente. Certo, il male subito non si cancella, ma è possibile – e doveroso – far luce senza nulla coprire né minimizzare su quanto è avvenuto e far giustizia.
È quello che fa l’arcivescovo di Firenze, il Card. Ennio Antonelli, con una lungo intervento che si caratterizza e si avvalora per una piena e totale trasparenza.
Prima di tutto nella verità sui fatti, espressa con la forza delle parole: si parla infatti, a proposito di quanto avvenuto negli anni 1973-1987 nella parrocchia fiorentina Madonna della Pace, ad opera dell’allora parroco Don Lelio Cantini, di «abusi sessuali su alcune ragazze, di falso misticismo, di controllo e dominio delle coscienze. Misfatti oggettivamente gravi che meritano riprovazione e condanna». Far verità però esige anche che si respinga ogni tentativo, esplicito o subdolo, di coinvolgere nella vicenda persone o istituzioni per intenti che nulla hanno a che fare col desiderio di chiarezza e di giustizia. Come «le insinuazioni e le accuse nei confronti del Vescovo ausiliare, Mons. Maniago». «Chi lo conosce da vicino non può che stimarlo grandemente, così come non si possono non stimare gli altri ottimi sacerdoti usciti dal gruppo che si era formato intorno a Don Lelio».
Accertati i fatti – conosciuti dall’Arcivescovo solo nell’estate del 2005 – la condanna per Don Cantini si è tradotta nelle sanzioni che il Codice di diritto canonico prevede per questi reati. Nell’intervento si comprende che «le vittime nella loro sofferenza ritengano la punizione troppo leggera, ma bisogna tener presente che la Chiesa deve dare testimonianza della divina Misericordia e mirare soprattutto al ravvedimento del peccatore». Cosa questa che è, del resto, alla base di ogni moderna visione della pena.
Ora nell’auspicio – è questa la conclusione dello scritto di Antonelli – che «la vicenda sia considerata da tutti con realismo e equilibrio e il clamore cessi», si apra per noi il tempo per una riflessione alla luce del Vangelo.
Quando accadono fatti come questi e tocchiamo con mano che anche nelle nostre mura si fanno peccati, si attuano offese per l’altro, per il debole, per l’indifeso rimaniamo attoniti. Tutti noi in questi giorni abbiamo profondamente sofferto nel constatare duramente come fino alla fine dei tempi nella storia grano e zizzania si mescolano. Il cristiano non scaglia pietre ma ne prende atto e si sforza di ridurre il negativo che si porta dentro. Soprattutto sa che per la potenza di Cristo Redentore il male si può vincere ed espiare: per questo cammina da penitente, da persona che chiede perdono a Dio e agli uomini. È un cammino doloroso non sempre compreso e non ci impegna solo come singoli ma anche come Chiesa. Ma è un atto di coraggio, di amore ed è misteriosamente una grazia.
Tratto da http://www.toscanaoggi.it/
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12/10/2008 - Firenze - Caso Don cantini: Benedetto XVI decide dimissione da stato clericale dopo suppleento di istruttoria
Tratto da : http://www.toscanaoggi.it
Benedetto XVI ha comminato a don Lelio Cantini la dimissione dallo stato clericale con l'obbligo della dimora vigilata. Lo ha comunicato oggi il card. Ennio Antonelli, amministratore apostolico della Diocesi di Firenze. La nuova condanna per il sacerdote fiorentino di 85 anni, riconosciuto colpevole di "abuso plurimo e aggravato nei confronti di minori", "sollecitazione a rapporti sessuali compiuto nei confronti di più persone in occasione della Confessione," e infine "abuso nell’esercizio della potestà ecclesiastica nella formazione delle coscienze" è giunta dopo un supplemento di istruttoria condotta a Firenze e poi trasmessa alla Congregazione per la Dottrina della fede. Il sacerote aveva già ricevuto una condanna al termine di un processo penale amministrativo canonico nel gennaio 2007 (Leggi sentenza). Ecco il testo integrale della notificazione alla diocesi del card. Ennio Antonelli.
E’ giunto a conclusione il procedimento canonico a carico di don Lelio Cantini, presbitero dell’Arcidiocesi di Firenze, protagonista di una dolorosa e scandalosa vicenda.
L’Arcivescovo Card. Ennio Antonelli, che già aveva condannato il sacerdote con Decreto del 12 gennaio 2007, in presenza di rinnovate accuse da parte delle vittime disponeva d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede una istruttoria supplementare in data 30 giugno 2007 e quindi procedeva alla valutazione delle prove insieme a due Assessori in data 23 luglio 2008 e trasmetteva le risultanze di tutto il lavoro svolto alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
La stessa Congregazione ha constatato che per lunghi anni don Lelio Cantini ha commesso il delitto di abuso plurimo e aggravato nei confronti di minori, il delitto di sollecitazione a rapporti sessuali compiuto nei confronti di più persone in occasione della Confessione, l’abuso nell’esercizio della potestà ecclesiastica nella formazione delle coscienze. Pertanto ha deciso di proporre al Santo Padre Benedetto XVI la sua dimissione dallo stato clericale e il precetto di dimora vigilata.
Il Papa in data 19 settembre 2008 ha decretato in via definitiva nei confronti di don Lelio Cantini la pena espiatoria perpetua della dimissione dallo stato clericale con la dispensa dagli obblighi sacerdotali e ha imposto con severo precetto penale l’obbligo di dimora vigilata in spirito di preghiera e penitenza in una residenza stabilita dall’Ordinario di Firenze, sotto pena di scomunica riservata alla Sede Apostolica in caso di disobbedienza. Il provvedimento è stato intimato al condannato in data 11 ottobre 2008.
L’Ordinario di Firenze presenterà ogni anno alla Santa Sede una relazione sul comportamento del reo e avrà cura di lui affinché giunga a un ravvedimento convincente anche sul piano esterno. In particolare occorrerà tenere presente che la dimora vigilata comporta che i contatti con persone estranee alla casa debbano venire esplicitamente autorizzati e rigorosamente controllati.
La Chiesa Fiorentina, duramente provata da questa triste vicenda, saprà trarne, per la grazia del Signore, motivi per una più fedele, generosa e coraggiosa testimonianza a Cristo Salvatore.
In particolare assicurerà alle vittime degli abusi, che hanno tanto sofferto, la vicinanza umana e spirituale per rielaborare positivamente in una prospettiva di fede il male subito.
Firenze, 12 ottobre 2008
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